giovedì 5 aprile 2018

Vita di Gioacchino Rossini, il figlio del 'Vivazza', scritta la lui medesimo. A cura di Pietro Acquafredda



Le mie biografie (niuna eccettuata) sono piene di assurdità e di invenzioni più o meno nauseanti. ( Rossini a Luigi d'Asti, suo amico,1862)


A dì 29 Febrajo 1792. Mercordì. Giovacchino, Antonio figlio di Giuseppe del fu Giovacchino Rossini e di Anna figlia di Domenico Guidarini coniugi di questa cura è stato battezzato da me Giammichele Giustiniani curato. Padrini furono il Nobile Sign.Conte Paolo Macchirelli Giordani, e la Nob. Sig.a Catterina Giovannelli nata Semproni.
( Pesaro. Atto di battesimo di Giovacchino Antonio Rossini)


Anna Guidarini (madre di Rossini), figlia unica di Domenico, fornaio, e di Lucia Romagnoli di Urbino, nata nel 1771, era “alta , ben proporzionata, la carnagione freschissima, un po' pallida, dai lunghi capelli neri magnifici, che spontaneamente s'inanellavano,una dentature irreprensibile, ella aveva nei suoi tratti un'espressione di dolcezza veramente angelica”. ( Rossini a Edmond Michotte)
Povera mamma! Non era priva di talento, anche se non conosceva una nota. Cantava da orecchiante, come diciamo noi, cioè puramente a orecchio” .( Rossini a Ferdinand Hiller).
Era dotata di una buona voce di soprano, e quando quando cadde, negli ex Stati pontifici, il divieto per le donne di esibirsi nei locali pubblici iniziò un'attività professionale di un certo rilievo, nei teatri di Ancona, Ferrara, Bologna Jesi, Imola, Ravenna, Reggio Emilia, e da ultimo, nel Teatro Comunale di Bagnocavallo dove cantò, per l'ultima volta in pubblico, nel 1808. Morì nel 1827. ( Eduardo Rescigno. Dizionario rossiniano, 2002)


Giuseppe Rossini (padre di Rossini), figlio di Gioacchino Sante, nato nel 1764 a Lugo di Romagna, suonatore di tromba e di corno , divenne ' trombetta comunale', (banditore pubblico, ndr) prima a Lugo e poi a Pesaro, dove si trasferì nel 1789. In qualità di suonatore di strumenti a fiato, svolse anche attività musicale autonoma e parallela. Il 24 settembre 1791 sposò Anna Guidarini e, dopo cinque mesi, nacque Gioacchino.
Giuseppe Rossini, “ per cognito soprannome Cittadino Vivazza” (così soprannominato per il carattere irascibile e vivace, ndr.) venne arrestato, a settembre del 1789, a Bologna, con l'accusa di giacobinismo, e successivamente tradotto a Pesaro dove fu processato. Per uscire di galera confessò il 'delitto' ( aveva scritto i versi di in Inno repubblicano,ndr.), ed ottenne la grazia nel luglio del 1800. Riprese l'attività di musicista itinerante anche assieme alla moglie, e successivamente svolse anche quella di impresario a Lugo. Da pensionato seguì a distanza la carriera del figlio raccogliendo una gran quantità di documenti che vanno dal 1809 al 1838, che egli stesso fece raccogliere in tre fascicoli, convenzionalmente chiamati 'Archivio Vivazza' . (Eduardo Rescigno. Dizionario rossiniano,2002)


Alla nuca porto ancora la traccia di una rimarginata cicatrice, prodotta da un colpo di sasso vibratomi dalla S.V. Ill.ma al tempo in cui prendevasi piacere di scorazzare le sacrestie per vuotare ampolline, e nel quale, invece di dilettare, era molesto a tutto il mondo. ( Lettera di Francesco Gennari, amico d'infanzia, a Rossini, 1865)




Don Giuseppe Prinetti ( maestro di cappella e liquorista, primo insegnante di musica di Rossini, quando aveva neppure dieci anni,1801, ndr) non ebbe mai un letto in vita sua. Giunta la notte si avvolgeva nel suo grande mantello e si rincantucciava in un angolo dei portici di Bologna. La mattina, assai di buon'ora, veniva da me e trovatomi, naturalmente ancora a letto, mi obbligava a vestirmi alla meglio per mettermi alla spinetta (strumento a tastiera,ndr). Però, dopo le prime note, egli che la notte non aveva potuto riposare abbastanza, cadeva addormentato su la sedia. Io ne approfittavo subito per ricacciarmi sotto le lenzuola, e , quand'egli, schiacciato il suo sonnellino, veniva a richiamarmi, gli rispondevo che avevo già eseguito il mio esercizio senza farvi un errore. (Rossini a Ferdinand Hiller, in Chiacchierando con Rossini, 1855)


Senza l'invasione dei Francesi in Italia io sarei diventato probabilmente farmacista o commerciante d'olio. ( Alexis-Jacob Azevedo, G. Rossini. Sa vie et ses oevres, Parigi 1864)


1804, 22 aprile. Cittadini, Gioachino Rossini vi annunzia che domenica sera 22 cadente aprile darà un'accademia ( 'accademia e tombola' ndr.) di musica ( scritturato con la madre, ndr.) in questo teatro Comunale. Egli vi ha dato altra volta qualche saggio, benché piccolo, del suo genio per la musica, onde si lusinga di ottenere uguale compatimento agli sforzi della sua puerile età. ( Aprile 1804. Avviso pubblico del Teatro Comunale di Imola)


1806, 24 giugno. Lettasi petizione del sig. Gioacchino Rossini Bolognese ( che aveva 14 anni e 4 mesi ndr.) approvato all'esercizio dell'Arte musicale del Canto con la quale intende essere aggregato alla nostra Accademia, la medesima per acclamazione lo ammette, ritenendolo esonerato dal peso di qualunque contributo; e ciò in contemplazione di quei riguardi che son dovuti ai suoi progressi nella professione che con molta lode esercita. (Verbale di ammissione di Rossini nell'Accademia Filarmonica di Bologna)



I Bolognesi fin d'allora predissero che Rossini sarebbe divenuto uno dei più celebri cantori d'Italia.(Gertrude Giorgi-Righetti, contralto, in ' Cenni di una donna già cantante sopra il maestro Rossini',1823)


Da principio io non ebbi altra mira che quella di procurarmi un'istruzione musicale superiore a quella posseduta dalla generalità dei miei colleghi di canto. A tale scopo erano diretti allora i miei studi; e non mi riuscì difficile raggiungerlo: ben presto divenni maestro al cembalo. Giunse intanto la muta della mia voce; i miei tentativi di composizione trovarono buona accoglienza e così entrai, quasi per caso, nella carriera di compositore; e vi restai, quantunque avessi fin da principio occasione di vedere che i cantanti sono retribuiti incomparabilmente più di noi. ( Rossini a Ferdinand Hiller in Chiacchierando con Rossini, 1855 )


Le regole mi spaventavano. Sentivo troppo bene che la mia natura, così esuberante, non era fatta per piegarsi ad un regolare e paziente lavoro; e per questo, anche più tardi, il buon Padre Mattei lanciò contro di me anatemi su anatemi, chiamandomi 'il disonore della sua scuola'... Quando chiedevo delle spiegazioni al Padre Mattei, mi rispondeva sempre: 'E' uso di scrivere così'. (Rossini a Edmond Michotte, in Une soirée chez Rossini à Beaux-Séjour, Passy 1858)


Mentre studiavo nel liceo ( musicale ndr.) di Bologna, dovevo pensare al mio sostentamento ed a quello dei miei genitori; ma, per quanto lavorassi in tutti i modi, e come maestro al cembalo nei teatri ( con la retribuzione di sei paoli per sera), e cantando nelle chiese, e componendo pezzi di musica vocale che mi fruttavano qualche piccolo regalo, i guadagni erano purtroppo scarsi. Sempre urgente si faceva sentire la necessità di trovare un lavoro più proficuo. ( Rossini a Ferdinand Hiller in Chiacchierando con Rossini, 1855 )


1811, novembre. Rossini rimase a Bologna fin verso la fine di novembre del 1811, per concertare e mettere in scena l'opera Il trionfo di Quinto Fabio di Domenico Puccini (bisnonno di Giacomo, ndr.). Alla prova generale dell'opera, il contegno dei coristi lo irritò sino al punto da minacciarli di bastone. Non l'avesse mai fatto! I Coristi rimbeccarono, inviperiti, l'imberbe maestrino e forse sarebbero giunti a vie di fatto senza il pronto intervento della direzione degli spettacoli. Che fece tradurre il futuro autore del Barbiere al Corpo di guardia a disposizione del Prefetto, per quelle misure che avesse giudicato al caso convenire. Il prefetto, approvò il provvedimento e, solo in considerazione del danno che sarebbe venuto all'impresario dalla sospensione dello spettacolo, autorizzò il Capo della Polizia a rimettere in libertà il giovane maestro, non senza averlo prima ammonito “di non permettersi quind' innanzi espressioni minacciose contro chiunque e specialmente in caso di opere in teatro, sotto comminatoria di più severe misure di recidivo”. E ordinava alla direzione degli spettacoli di sorvegliare sempre più da vicino il Rossini, e “ a renderlo informato di qualunque emergenza che potesse risultare a suo carico”. ( N. Morini. Rossini al Teatro al Corso, in 'Pensiero Musicale' n. 5, 1925)


Avevo vent'anni e dovevo fare il soldato; non mi era possibile esimermi da quest'obbligo, perché ero proprietario di fondi: e che proprietario! Possedevo un castello, che mi fruttava quaranta lire all'anno! Ma l'incontro ottenuto dalla mia opera
( La pietra del paragone, andata in scena alla Scala, il 26 settembre 1812, ndr.) dispose favorevolmente verso di me il generale comandante in Milano e a lui debbo il privilegio dell'esenzione... Ci guadagnò la coscrizione; perché io sarei stato un cattivo soldato. ( Rossini a Ferdinand Hiller in Chiacchierando con Rossini, 1855)


Rossini non mentiva. Di complessione apparentemente robusto, ma non in realtà, Gioacchino Rossini era anche per natura estremamente pauroso. ( Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927-29)


1813. Mentre L'Italiana in Algeri ( andata in scena alla Fenice di Venezia il 22 maggio 1813, con grande successo, ndr.) correva in trionfo i teatri d'Italia, il Padre Mattei, interrogato sul suo parere dal canonico Malerbi di Lugo (insegnante di musica di Rossini a Lugo, ndr.) rispondesse: “Gioacchino ha votato il sacco”. E pensare che Gioacchino, invece, proprio allora cominciava! (Giuseppe Radiciotti, Gioaachino Rossini, Tivoli 1927-29).


1816. Nel determinare il numero di giorni impiegati da Rossini a comporre la musica del Barbiere di Siviglia (andata in scena la prima volta al Teatro Argentina il 20 febbraio 1816, ndr.), i biografi non sono concordi. Per il D'Ortigue, che n'ebbe notizia dal tenore Garcia ( primo Conte d'Almaviva ndr.), sarebbero stati otto; per il Montazio, undici; per il Clement, tredici; per il Silvestri, quattordici; mentre la Giorgi-Righetti (prima 'Rosina' ndr.) assicura che quest'opera costò all'autore molto tempo di lavoro... E Rossini medesimo si mostrò incerto nel rispondere a chi lo interrogò sull'argomento: 'Dodici giorni' rispose una volta; 'tredici' disse a Wagner. ( Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927-29)


1818, luglio. Lettere del chiarissimo Maestro Rossini da Pesaro, in data 2 corrente ( luglio 1818), smentiscono la notizia di sua morte. Rossini è stato da grave infermità tratto sull'orlo del sepolcro, ma ora è fuori di pericolo. Dando questa lieta notizia, noi crediamo far cosa graditissima ai Napoletani, a ragione passionati ammiratori dell'egregio compositore, di cui fama bugiarda aveva annunziata la morte immatura.
(Giornale delle Due Sicilie, 9 luglio 1818).

1819, dicembre. Trapasso a Rossini. Questo nome, ripetuto sì spesso e con tanto entusiasmo da tutti i labbri, non dovrebbe andar mai scompagnato dagli elogi dei giornalisti. Tale si è l'opinione d'un bell'ingegno che sembra destinato a segnare una nuova epoca nei fasti della musica italiana; ciò nondimeno, ci ha taluni (compreso me), i quali, ammirando ciò che ci ha di mirabile nei componimenti del Rossini, si permisero e si permettono tuttodì alcuni rilievi, che non sono certamente il frutto della malignità e dell'invidia. A questa libertà di parlare, ch'è il privilegio dell'uom pensante, non rinunzierei mai, per mio conto, quand'anche costar mi dovesse la benevolenza di chi mi è più caro. (Gazzetta di Milano, gennaio 1820, dopo la prima di 'Bianca e Faliero' alla Scala, avvenuta il 26 dicembre 1819)

1821. Erano a Roma Paganini e Rossini e la sera mi trovavo spesse volte con loro e con altri maestri coetanei. Si avvicinava il Carnevale, e si disse una sera: 'combiniamo una mascherata'. Che cosa si fa? Che cosa non si fa? Si decide alla fine di mascherarsi da ciechi e cantare, come usano, per domandare l'elemosina. Si misero insieme quattro versacci che dicevano: Siamo ciechi, siamo nati/ per campar di cortesia/ In giornata d'allegria/ non si nega carità. E le altre strofe: Donne belle, donne care/ Per pietà non siate avare/Fate a poveri cechetti/ un pochin di carità. Siamo tutti poverelli/ senza soldi e senza gli occhi/ che suonando i campanelli/ e scuotendo li batocchi/ con do,re,mi,fa,sol,la/ domandiam la carità.
Rossini li mette subito in musica, ce li fa provare e riprovare, e finalmente si fissa d'andar in scena il giovedì grasso. Fu deciso che il vestiario al di sotto fosse di tutta eleganza e di sopra coperto di poveri panni rappezzati... Rossini ampliò con molto gusto le sue già abbondanti forme con viluppi di stoppa, ed era una cosa inumana! Paganini poi, secco come un uscio, e con quel viso che pareva il manico del violino, vestito da donna, compariva secco e sgroppato il doppio. Non fo per dire, ma si fece furore: prima in due o tre case case dove s'andò a cantare, e poi al Corso, poi la notte al festino. ( Massimo D'Azeglio, I miei ricordi, II, 1867 - postumo)


Solo due volte ho pianto in vita mia: quando un tacchino infarcito di tartufi mi cadde accidentalmente nell'acqua e quando sentii suonare Paganini. (Rossini)


1821. Venezia 3 marzo, 1821,n.783.D.R. Ai sigg. Capi Commissari. E' indicato come fortemente infetto di rivoluzionari principi il famoso compositore di musica Rossini (a seguito della composizione, a Bologna, dell'Inno dell'Indipendenza dopo il proclama per l'indipendenza italiana, lanciato da Gioacchino Murat a Rimini il 5 aprile 1815, ndr.), che ora si trova in Napoli. Ne informo sollecitamente il sig. Capo commissario, non solo perché disponga contro di lui la più rigorosa sorveglianza, dov'egli comparisse in cotesta provincia, ma perché rivolga eziandio la più scrupolosa attenzione alle relazioni che il Rossini, per dar sfogo al politico suo entusiasmo, aver potesse. Di tutto ciò ch'ella ritroverà nella emergenza, vorrà poi darmi pronto e preciso ragguaglio. Kubeck. (Archivio di Venezia. Carte segrete della polizia austriaca che per parecchi anni, a causa di quell'Inno, tenne sotto sorveglianza Rossini)


Alcuni miserabili miei concittadini mi hanno fatto reputazione di codino, ignorando gl’infelici che nella mia adolescenza artistica musicai con fervore e successo le seguenti parole :”Vedi per tutta Italia/ rinascere gli esempi/ d’ardire e di valor!/ Quanto valgan gl’Italiani/ al cimento si vedrà” . E nell'Inno dell'Indipendenza, versi di Gianbattista Giusti, per l'ingresso di Murat a Bologna: “Sorgi, Italia, venuta è già l’ora:/ l’alto fato compir si dovrà;/ dallo Stretto di Scilla alla Dora/ un sol regno l’Italia sarà!. E il ritornello: “ Del nemico alla presenza/ quando l’armi impugnerà/ un sol regno e indipendenza / gridi Italia e vincerà (accolto con grande calore, tanto che gli fu dato il nome di ‘Marsigliese’ italiana). Per distruggere l’epiteto di codino, dirò che ho vestito le parole di libertà nel mio Guglielmo Tell a modo di far conoscere quanto sia caldo per la mia patria e per i nobili sentimenti che la investono. Vi scrivo tutti questi particolari e vi do sì a lungo la pena di leggermi, perché ho ragione di supporre che non mi avete in gran concetto ‘politicamente’, e onde abbiate in mano un’arma per difendermi, ove venissi attaccato. (Lettera di Rossini al palermitano Filippo Santocanale, suo amico, 1864)


1822. Il 16 marzo (1822) fu celebrato lo sposalizio fra Isabella Colbran e Gioachino Rossini, dal parroco della Chiesa di Castenaso, a dieci chilometri circa da Bologna, e precisamente nel piccolo Santuario della Vergine del Pilar, vicino alla villa di proprietà della Colbran. Il Maestro volle far le cose senza pompa e nella massima intimità. Nel contratto la sposa recava in dono al marito, l'intero usufrutto e metà della proprietà del suo patrimonio, consistente in alcuni crediti in Sicilia, in terreni e nella villa di Castenaso, per un valore totale di 40.000 scudi romani. Onde molti videro in questo matrimonio un affare e non un legame d'amore; e romanzieri e libellisti vi ricamarono su fantastici episodi. (Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927-29)


1822. Due volte Rossini, in compagnia del commerciante d'arte Artaria, cercò di far visita a Beethoven (a Vienna,ndr.). Ma dopo due richieste di Artaria se poteva venire con il maestro, Beethoven sempre si fece scusare. (Anton Schindler, Biografia di Ludwig van Beethoven ,1840))


È difficile scrivere la storia di un uomo ancora vivo ... Lo invidio più di chiunque abbia vinto il primo premio in denaro alla lotteria della natura... A differenza di quello, egli ha vinto un nome imperituro, il genio e, soprattutto, la felicità. ( Stendhal, Vita di Rossini,1823)



1823, dicembre. Appena sistematosi nel suo appartamento a Londra, Rossini ricevette la visita del conte De Lieven, ambasciatore di Russia a Londra, che a nome del re, Giorgio IV, l'invitava a recarsi a corte. Il maestro, che, avendo molto sofferto nella traversata da Calais a Dover, trovavasi a letto con una forte crisi nervosa, si scusò di non poter subito accondiscendere al desiderio del monarca e pregò il conte di ringraziarlo vivamente, assicurandolo che, appena ristabilito, si sarebbe affrettato a procurarsi l'onore di ossequiarlo. L'indisposizione di Rossini continuò per quasi una settimana, durante la quale si dice che il re inviasse ogni giorno il suo ciambellano ad informarsi della salute del grande compositore. ( Giornali inglesi, in Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927-29)


Di statura appena media, egli ha, nell'insieme, un'aria piuttosto pesante: più che ad un sensibile, ardente spirito del dolce clima d'Italia, Rossini somiglia ad un tarchiato “ beef-eating” inglese. Quando è calmo, il suo viso ha l'espressione intelligente, ma seria, senza l'impronta di quella vivacità, che forma la principale caratteristica delle sue opere. Si narra che i coniugi Rossini, in compagnia di un magnifico pappagallo, solevano andare a sedere sull'apice del colonnato della Regent Street, dove abitavano al civico 90, e da quell'altura si divertivano a guardare il continuo andirivieni dell'affollata via sottostante. (Giornali inglesi, sul soggiorno di Rossini a Londra, 13 dicembre 1823- 25 luglio 1824)


A Londra ho guadagnato molto, non come compositore, ma come accompagnatore. A dir il vero in Italia non mi son fatto mai pagare per accompagnare ( al pianoforte un/una cantante, ndr.): mi ripugnava; ma a Londra lo facevano tutti ed ho seguito l'usanza anch'io. Per la collaborazione mia e di mia moglie ( Isabella Colbran, la celebre cantante, ndr.) ad ogni serata avevo fissato il prezzo abbastanza alto di 50 sterline; eppure fummo chiamati ad una cinquantina di queste serate ( secondo la testimonianza di Azevedo, ndr.). Del resto, a Londra i musicisti non hanno altro scopo che quello di far quattrini.( Rossini a Ferdinand Hiller, in Chiacchierando con Rossini, 1855 )


Il re Giorgio si recava spesso da Brigton a Londra per assistere alle mattinate musicali di Rossini e di tanto in tanto vi faceva sentire la sua regale voce di basso, in duetti, nei quali Rossini cantava la parte del tenore, accompagnando nel tempo stesso al pianoforte. Un giorno l'augusto basso interruppe ad un tratto l'esecuzione di un duetto buffo, dicendo di aver commesso un errore e chiese di ricominciare il pezzo per correggersi. La smania che re Giorgio aveva di far musica con Rossini, diede argomento all'umorismo dei caricaturisti. Uno di essi raffigurò il Monarca inginocchiato davanti al musicista in atto di supplicarlo di cantare con lui qualche duetto. Sotto questa caricatura si leggeva: ”Sua Maestà farebbe meglio a conservare la voce per alzarla in favore dei suoi popoli”. (Alexis-Jacob Azevedo, G. Rossini. Sa vie et son oevres, Parigi 1864)


1824, luglio. Rossini lasciò la capitale dell'Inghilterra, portando con sé 175.000 franchi di guadagno ( che fu la base della sua fortuna) ed il grato ricordo delle infinite cortesie ricevute da quel popolo superlativamente ospitale. ( Rossini a
Ferdinand Hiller in Chiacchierando con Rossini, 1855 )


Dopo la morte di Napoleone c’è stato un altro uomo del quale si parla ogni giorno a Mosca come a Napoli, a Londra come a Vienna, a Parigi come a Calcutta.
La gloria di quest’uomo non conosce limiti, se non quelli del mondo civile, ed egli non ha ancora trentadue anni. ( Stendhal, Vita di Rossini,1823)


1824, agosto - 1829, agosto.  Sapendo di doversi fermare per qualche anno a Parigi - dove abitava al Boulevard Montmartre, n.10 – si recò a Bologna (14 settembre) per rivedere i genitori e sistemare i suoi affari, ed al ritorno strinse il nuovo contratto con la Casa reale, firmato il 26 novembre 1824, in virtù del quale egli formalmente riceveva la nomina a 'Direttore della musica e della scena del Teatro Reale Italiano', con 20.000 franchi di stipendio all'anno e l'alloggio negli edifici del riparto delle Belle Arti; ed in compenso delle opere che gli sarebbero state commesse, gli si promettevano 5.000 franchi per quelle in un atto e 10.000 per quelle in più atti. (Contratto con la Casa reale di Francia, art.2,4)


Nominato 'Compositore di Sua Maestà ed Ispettore generale del canto in tutti i regi stabilimenti musicali'. ( Decreto della Casa reale di Francia del 17 ottobre 1826)


1827, 24 luglio . L'altro giorno un Banchiere, che per nome chiamasi Signor Aguado le ordinò una cantata in musica (per il battesimo di suo figlio, ndr), la quale la scrisse in sei giorni... fu applaudita e il sud. Sig. Aguado ha mandato a Gioacchino un regalo di una ripetizione d'oro di M. Braghé unitamente ad una grossa catena d'oro per portare al collo, del valore, fra tutto, di 1000 napoleoni d'argento (come dicono tutti, regalo da Sovrano), che, in segno di verità, l'anello, che l'imperatore delle Russie regalò in Verona a Gioacchino, non costa che 900 scudi... Il nostro Ispetor Generale del Canto de' Stabilimenti Reali sta benone e se la gode. Parigi è stato quello che ha finito di coronare la gloria Rossiniana... Parigi è un gran bel soggiorno ed è molto benvoluto ed ha grand'amici; ed in caso non lo credeste, fermandosi alla Posta qualche Signore Francese, chiedetegli nuova del M. Rossini, che sentirete che tutto ciò che vi scrivo ve lo confermeranno. (Lettera da Parigi di Giuseppe Rossini , padre del musicista, al cognato, residente a Bologna)


Un artista, che ha solamente del talento, conserva fino all'ultimo l'impulso d'impiegare questa sua dote; l'ambizione lo stimola, egli sente che si viene perfezionando sempre più, ed è spinto a raggiungere l'apogeo. Il genio, invece, che ha già prodotta la sua massima creazione, se ne tiene pago, disprezza il mondo con le sue piccole ambizioni e va a Strafford sull'Avone, come William Shakespeare, o passeggia sorridente e mordace sul Boulevard des Italiens, come Giaocchino Rossini. ( (Heinrich Heine - per spiegare il silenzio di Rossini dopo il Guglielmo Tell- in Cronache musicali 1821.1847, a cura di E. Fubini. Fiesole 1983)


O non lo sapete che io sono un grande infingardo? Scrivere opere, quando le melodie venivano a cercarmi e a sedurmi; ma, quando capii che toccava a me andarle a cercare, nella mia qualità di scansafatiche, rinunciai al viaggio e non volli più scrivere. ( Rossini ad Andrea Maffei)


Se avessi avuto figli avrei continuato a scrivere, malgrado la mia naturale inclinazione alla pigrizia: ma essendo solo ed avendo tanto da vivere agiatamente, non mi sono più rimosso dal mio proposito, né per offerta di guadagni o lusinga di onori (Rossini al pittore Guglielmo De Santis, suo ritrattista ed amico)


Nel carattere di Gioacchino Rossini c'è una contraddizione significativa e, a ben guardare, soltanto apparente: il genio musicale italiano più estroso e brillante, più incalzante, più gaio e insomma più mobile e attivo fu al tempo stesso un uomo di profonda ed incorreggibile pigrizia... La pigrizia di Rossini rassomiglia a quella della terra, ignara di motivi etici e ideologici ma capace di riprese e scoppi vitali memorabili e fulminei. A questa pigrizia tutta terrestre, travagliata dalla natura oscura e inesauribile, incredibilmente generosa nei buoni momenti ma assolutamente avara
nei cattivi, incapace di calcoli ma capacissima di estro spontaneo, si deve il miracolo preromantico della musica di Rossini, impetuosa, limpida, incalzante e allegra come i torrenti della primavera (Alberto Moravia, note per un LP RCA , nel 1954. Ripubblicato in Music@, n.25. Nov-dic 2011)


1827, 24 luglio. Gioacchino mi ha dato parola che dal mille e ottocento trenta si vole ritirare a casa del tutto, volendosela godere a fare il Signore, e lasciare scrivere chi vole, mentre ha faticato abastanza ( il cielo lo voglia, che lo desidero di cuore!).
( Lettera di Giuseppe Rossini da Parigi a suo cognato, a Bologna)


1829. “Cinque mesi impiegai a comporre il Guglielmo Tell, e mi parve assai. Lo scrissi in campagna al Petit-Bourg (Evry) nella villa dell'amico Aguado. Vi si faceva vita assai gaia: io avevo preso gran passione per la pesca alla lenza e perciò mandavo innanzi il mio lavoro con poca regolarità. Ricordo di avere abbozzato tutta la scena della congiura una mattina, stando seduto sulla sponda dello stagno, in attesa che il pesce abboccasse all'amo. Ad un tratto mi accorsi che la canna da pesca era sparita, trascinata da un grosso carpione; mentre ero tutto infervorato ad occuparmi di Arnold e Gessler. (Rossini a Edmond Michotte, in Une soirée chez Rossini à Beaux-Séjour, Passy 1858)


1830. Non mi riesce di fissare un momento di seguito l'attenzione del Maestro, col quale è assai più difficile qui ( Bologna ndr.) parlare di affari che a Parigi: perchè qui si svaga troppo con questi maledetti bighelloni bolognesi, che il diavolo li porti! Essi vengono a importunarlo a casa da mezzo giorno, appena si sveglia, e non l'abbandonano più sino ad un'ora dopo mezza notte, in cui rincasa. Quand' esco insieme con lui, nella speranza di averlo almeno un poco in mia compagnia, sono più le volte che sgattaiola dietro le colonne del porticato, e, una volta che si è messo a chiacchierare con gli amici, non è più possibile concluder nulla con lui. (Eduard Robert, uno dei direttori dell'Opera italiana di Parigi, venuto a Bologna per discutere di certi affari teatrali con Rossini)


1833, 4 agosto. Come si ha da amare e andare d'accordo con una donna ( Isabella Colbran, ndr.) superba ed infame una scialacquona che non cerca che fare dispetti, e ciò perché non si vuol condiscendere alle sue grandezze e pazzie; e non si ricorda la sua nascita ch'era figlia anch'essa di un povero trombetta come ero io e che ha una sorella a Midrit (Madrid, ndr) che la fulmina di lettere; e non si ricorda quando Crescentini ( Girolamo Crescentini, famoso evirato, ndr) le dava lezione per carità, allorquando si trovava a Midrit, e tante altre cose che potrei dire che non le dico, ma dirò solo: Evviva li Veneziani allorquando la fischiarono a morte, era meglio che l'avessero acupata, come avevano intenzione, e così non sarebbe morta la mia povera moglie di passione e pur troppo se si seguita così o che crepo anche io o che divento matto. Beato voi che ci siete lontano e Iddio vi conservi sempre così, mentre sarete sempre tranquillo godrete la vostra pace di cui non la godereste vicino a lei; e ringrazio il Cielo mille volte d'avervi preso voi per sposo: che se avesse sposato uno che pensasse come pensa Ella, a quest'ora sarebbe alla lemosina tutti due. ( Lettera di Giuseppe Rossini a suo figlio Gioacchino)


1834. Il fato lo aveva tratto a far conoscenza di Olimpia Pélissier, dilettante di musica e del genio di lui entusiasta, la quale con modi gentili e con assidue sollecitudini si procacciò la sua affezione. Egli cadde malato nel 1832, ed Olimpia volle esser la sua infermiera. Gli bisognava soprattutto che qualcuno prendesse cura della sua salute: ei faceva stravizi come i più di coloro che non sono trattenuti da legami di famiglia. Di complessione robusta a vedere, di aspetto vago e sorridente, d'indole allegra e scherzosa, pur di sovente si trovava indisposto; essendo molto sensitivo, molto era facile ad alterarsi per subito impeto di sdegno, più facile a commoversi per grande contentezza, per tenerezza di affetto, per compassione, e per quasi fosse contrarietà grave od amarezza d'animo che gli turbavano i nervi sì fortemente che rimaneva spossato ed affranto come da lunga malattia. Olimpia non solo ebbe di lui diligente cura nelle infermità, ma seppe indurlo ad evitarne le cagioni, a fare vita più regolata. ( Antonio Zanolini. Biografia di Gioachino Rossini, Bologna Zanichelli 1875)


1836, 26 giugno. Ho fatto un viaggio a Frankfort, passando per Bruxelles, Anversa, Aix-la-Chapelle, Cologne, Coblenz, Magonza, ecc., e ti assicuro che non evvi al mondo cosa più bella delle rive del Reno. Che ricchezze, che vegetazione, che cattedrali, che oggetti di antichità! Dei quadri di Rubens e Vandik (Van Dick ndr.) non ne parlo, perché ci vorrebbero venti pagine per descriverne le bellezze e la quantità. Sono veramente soddisfatto di questo viaggetto, che ebbe solo per oggetto di assistere in Frankfort alle nozze di Lionel Rothschild, mio carissimo amico. ( Lettera di Rossini a Emilio Loup, suo amico)

1836, 14 luglio. Ieri mattina mi recai da Hiller, (a Francoforte ndr.) e indovinate chi vi trovai? Rossini, grande e grosso, nel suo più amabile e festoso umore! Conosco davvero pochi uomini che possano essere così ameni e spiritosi come lui, se vuole. In tutto quel tempo non abbiamo fatto che ridere... Della Germania egli è entusiasta, dice lui, e, se alla sera trovandosi sul Reno si fa dare la lista dei vini, il cameriere lo deve accompagnare nella sua camera, altrimenti non la trova più... Di Parigi e di tutti quei musicisti, di se stesso e della sue composizioni racconta le più buffe, le più amene cose, ed ha per tutte le persone presenti un rispetto così sterminato, che si potrebbe credergli veramente, se non si avessero gli occhi per vedere il suo viso furbo. Ma spirito, vivacità e finezza sotto tutti gli aspetti e ad ogni parola; e chi non lo tiene per un genio, deve sentirlo predicare anche una sola volta e muterà tosto la sua opinione. (Lettera di Felix Mendelssohn Bartholdy alla famiglia)


1836, novembre. Ho qui (Bologna ndr.) ritrovato mio padre in buona salute e, relativamente alla sua età di 74 anni, allegro e beato, come facilmente crederete, di vedermi... Io me la passo discretamente: vi assicuro ( tra noi sia detto) che ho fino ad ora la più grande indifferenza per l'abbandonata capitale del mondo ( Parigi, ndr.)
(Rossini a Carlo Severini, suo amico e amministratore del Teatro Italiano di Parigi))


1837. Rossini si separò legalmente dalla moglie Isabella Colbran con la quale ormai non gli era più possibile convivere. Isabella era consapevole della relazione del Maestro con la parigina (Olimpia Pélissier, ndr). Alla Colbran, con l'atto ufficiale di separazione, venivano assegnati centocinquanta scudi mensili per il suo mantenimento, l'uso della villa di Castenaso ed un piccolo sussidio per un ricetto (casa, ndr.) in città nella stagione invernale. ( Notizie da Antonio Zanolini, in Biografia di Gioachino Rossini, Bologna Zanichelli,1875)


Olimpia fu chiamata a Bologna, ma non a coabitare col Maestro. Rossini non avrebbe potuto, senza provocare un grande scandalo, convivere on l'amante, mentre la moglie legittima abitava a pochi passi dalla sua casa. Isabella si mostrò donna, dirò così, di molto spirito; non si adontò, non fece la gelosa; anzi, volle accostare e conoscere la rivale! ( Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927-29)


1837, ottobre. Isabella si conduce benissimo in questa delicata circostanza... Olimpia è invitata da Mad. Rossini a pranzo domani. (Rossini a Carlo Severini)


Per qualche tempo le due donne praticarono insieme famigliarmente, come se fossero unite da sincera amicizia; poi, ad un tratto, quel fuoco fatuo per leggiero soffio si spense: un giorno si separarono corrucciate né si rividero più. (Antonio Zanolini, Biografia di Gioachino Rossini, Bologna Zanichelli 1875)


1837, 28 novembre. Io sono qui a Milano godendo una vita piuttosto brillante; dò accademie, ossia esercizi musicali, tutti i venerdì in casa mia. Ho un bell'appartamento e tutti vorrebbero assistere a queste riunioni. Passerò qui tutto l'inverno, per ritornare a Bologna alla fine di marzo... ( Lettera di Rossini a Carlo Severini)


1837, 26 dicembre. Milano è città di molte risorse e vi si passa una vita alquanto beata. Le mie serate musicali fanno qualche sensazione qui a Milano. Ho tutti gli artisti dei teatri che fanno a gara di cantare e sono costretto lottare tutta la giornata per ricusare l'ammissione di nuovi satelliti. Le persone più distinte sono ammesse alle mie serate: Olimpia fa gli onori di casa con successo e ce la passiamo bene. ( Lettera di Rossini all'amico bolognese Antonio Zoboli)


1839, 29 aprile. Muore Giuseppe Rossini, da qualche tempo gravemente malato. Aveva quasi ottant'anni. Il Maestro, che, com'è noto, amava immensamente i suoi genitori, non volle più oltre rimanere ad abitare la casa, dove tutto gli rammentava ogni momento la loro perdita: e la vendette immediatamente, senza neppure aspettare che fossero terminati i lavori di restauro e di ampliamento che vi si stavano facendo. Il suo amico e mecenate Aguado si affrettò ad offrirgli ospitalità in casa propria a Parigi. Ma i medici visto lo stato di prostrazione fisica e morale in cui era caduto, gli prescrissero qualche mese di soggiorno su la spiaggia partenopea. Il 20 giugno partì per Napoli, dove si trattenne fino ai primi di settembre, ospitato dal Barbaia nella sua villa di Posillipo. In lutto per la morte del padre era di umore così tetro che non accettò nessun invito a feste, pubbliche o private che fossero. (Testimonianze varie)


1841. Rossini ha posto mano alla rigenerazione del Liceo musicale di Bologna, di cui era stato nominato, due anni prima, consulente onorario perpetuo. Quelli che han veduta la sua molle incuria nell'amministrazione del teatro Italiano di Parigi, nel 1824, e che rammentano i suoi motteggi sul grottesco posto di Ispettore generale del canto in Francia, appiccicatogli dal visconte di La Rochefoucault, stenteranno a credere ch'egli possa prestar cure ad una scuola che ne richiede di ogni specie: ma il Rossini, ben diverso da quello che era una volta, è adesso uomo serio. Non ha voluto che il titolo di 'direttore onorario', perché non ha accettato stipendio, ma si reca quasi ogni giorno al liceo, si fa render conto della condizione degli allievi e degli studi, si occupa del miglioramento dell'insegnamento e presiede egli stesso alle prove dei concerti, le cui esecuzioni vanno sempre migliorando mercé i suoi salutari consigli. (Francois Joseph Fétis, in Revue et Gazette musicale)


Sventuratamente il cattivo stato della sua salute non è uno dei minori ostacoli all'attività che vorrebbe spiegare. Confesso che fui dolorosamente colpito, allorché, entrando in casa sua, vidi la sua persona dimagrita, i suoi lineamenti invecchiati e non so qual debolezza nei suoi movimenti. Una malattia alle vie urinarie, da molti anni contratta, è la principal causa di tale deperimento: la morte del padre, immergendolo nel più vivo dolore, ha finito di abbatterlo completamente. Poiché uno dei tratti caratteristici dell'indole di questo artista è la pietà finale... Nonostante il cattivo stato della sua salute, Rossini dimostra oggi maggior attività di quanta ne ebbe quando stava bene. Durate l'estate, abita una casa di campagna, che ha preso in affitto a poca distanza da Bologna; ma si reca quasi ogni mattina, dove rapidamente lo conducono i suoi belli e buoni cavalli. Dopo un po' di riposo nell'appartamento che occupa durante l'inverno, va al liceo, visita alcuni amici, e si occupa d'affari: poi ritorna in campagna, dove riunisce a tavola, due o tre volte la settimana, gli stranieri che lo visitano ed alcuni dei suoi devoti amici. (Francois Joseph Fétis, in Revue et Gazette musicale,1841)


1843. Il Maestro aveva deciso di recarsi nella Capitale Francese, verso la metà di maggio, dove giunse il 27 del mese, non però per ricevervi nuovi onori, come si credeva, ma purtroppo a cercarvi il soccorso della scienza per la sua salute. La malattia uretrale, di cui soffriva da molto tempo, si era per modo aggravata da rendere inevitabile un'operazione chirurgica. Nella speranza di evitarla, sebbene non diffidasse dei medici esperti ed affezionati che lo curavano a Bologna, pensò di trasferirsi a Parigi per consultarvi il famoso chirurgo Jean Civiale... Per fortuna aveva recato con sé a Parigi la sig.ra Pélissier, che gli prodigava le più affettuose premure. (Testimonianze varie)

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843, 26 agosto. “ Non volli scriverti prima di essere molto inoltrato nella mia cura, onde farti ben conoscere lo stato di mia salute... Da venti giorni circa le cose sono cambiate, ed ora soltanto poso dirti essere io pienamente contento di essere qui venuto per ristabilirmi, cosa che io credo ora sicura. ( Lettera di Rossini all'amico bolognese, Antonio Zoboli)
Quando gli fu permesso dai medici, poté dare ricevimento all'infinita quantità di persone che desideravano vederlo e ossequiarlo, che ambivano udire la sua parola. Tutta la mattinata era dedicata alla cura; da mezzodì alle quattro, o alle cinque, egli soleva uscire a passeggio, dalle sei alle sette si metteva a tavola; poi, sin quasi alla mezzanotte, il suo appartamento si riempiva di gente. Durante i mesi che si trattenne a Parigi, che lasciò il 20 settembre 1843 diretto a Bologna,, più di duemila persone saranno andate a trovarlo: cantanti,maestri di musica, letterati, diplomatici, artisti. Uno dei più insigni scultori di Francia, Auguste Etex, gli fece una statua al naturale; il celebre pittore Ary Scheffer un grande ritratto a olio. (Giuseppe Radiciotti, Giochino Rossini, Tivoli 1927-29)


Il Rossini si lamenta sempre dello stato della sua salute e particolarmente della debolezza delle sue gambe; però io credo che il suo male risieda nello spirito più che nel corpo. Il suo viso non dimostra nessuna sofferenza; egli cammina con la sveltezza di un uomo di trent'anni; la sua conversazione è animata; il suo sguardo penetrante. ( Iberia Musical, periodico. Articolo di autore anonimo, maggio 1845)


1845. Verso la metà di agosto, mentre villeggiava nel casino Corneti, gli fu annunciato che Isabella era gravemente malata. Il 7 settembre riceve premuroso invito di portarsi a Castenaso: sua moglie desiderava di vederlo, di parlargli, di seco riconcigliarsi. Rossini non poté nascondere l'interno turbamento, ma punto non titubò e dispose di andarci tosto; Olimpia era presente e non fece motto; se fu punta da affetto penoso, seppe celarlo. Giunto alla villa di Castenaso col suo agente che al solito lo accompagnava, Rossini entrò nella camera di Isabella, e con lei da solo a solo intrattenutosi circa mezz'ora, ne uscì con le guance bagnate di lagrime, e con lena affannata raccomandò che della inferma si avessero cure assidue e cordiali, si spiasse ogni pensiero; ei voleva che i desideri della moglie sua fossero soddisfatti. Di giorno in giorno riceveva notizia da Castenaso fino a che, il 7 di ottobre, gli giunse l'annunzio che Isabella, dopo di avere più volte ripetuto il nome di lui, aveva finito di vivere. Egli ne fu profondamente accorato e, pur facendo buon viso ai conforti di Olimpia, rimase lungo tempo tristo e malinconico. Il Maestro, come aveva fatto con la casa paterna, non volle più veder la villa di Castenaso, che da allora in poi rimase sempre chiusa fino al giorno in cui fu venduta, nel 1851. (Antonio Zanolini, Biografia di Gioachino Rossini, Bologna Zanichelli 1875)


1846. Il 16 giugno era salito al soglio pontificio il cardinale Giovanni Maria Mastai-Ferretti di Senigallia, con il nome di Pio IX, che, per i noti sentimenti liberali, aveva sollevato le speranze dei patrioti. Invitato a mandare una sua composizione, Rossini adattò un coro della Donna del lago ad inno, su versi in lode del pontefice, attribuiti al canonico Golfieri, che cominciava: Su, fratelli, letizia si canti/ Alla gloria novella di Pio/ Che alla santa favilla di Dio/ infiammossi nel dolce pensier. L'inno fu eseguito la sera del 23 luglio, appena si ebbe notizia dell'editto del perdono, sul sagrato della basilica di S. Petronio, da cinquecento esecutori, fra cantanti e sonatori, diretti da Rossini. (Antonio Zanolini, Biografia di Gioachino Rossini, Bologna Zanichelli 1875)


1846. Intanto, poiché il suo decoro e soprattutto l'impazienza di Olimpia esigevano una sollecita sistemazione regolare dei suoi rapporti con lei, il 16 agosto (suo onomastico) la sposò. Anche questo secondo suo matrimonio avvenne in forma assai modesta e senza le rituali pubblicazioni. Testimoni furono due suoi intimi: il bolognese Antonio Zoboli, esimio sonatore di fagotto, e il celebre tenore bergamasco Domenico Donzelli. Olimpia aveva allora quarantasette anni e Gioachino cinquantaquattro. ( Giuseppe Radiciotti. Gioacchino Rossini, Tivoli 1927-29)


1848. La sera del 27 aprile un battaglione di Romani, rimasto in Bologna per corredarsi e coordinarsi, mosse, preceduto dalla sua banda e con solito accompagnamento di sfaccendati, verso la porta maggiore, incontro ad un centinaio di Siciliani, che marciavano alla volta di Lombardia. I ben venuti ospiti, nel passare davanti al Palazzo Donzelli, allora abitato dal gran maestro, il capo-banda si fermò, com'era uso, e ad onore di lui fece sonare un pezzo di musica rossiniana. I Siciliani, stanchi del cammino lungo e faticoso, domandarono il perché di quella posa, e, mentre Rossini si presentava al balcone, taluno disse ad alta voce che quegli era un ricco retrogrado; onde s'udirono alcuni fischi e grida minacciose. Rossini, soprappreso da così fatta accoglienza, si ritirò tutto acceso di sdegno, ed Olimpia n'ebbe così gran spauracchio che la mattina appresso entrambi correvano di posta in posta alla volta di Firenze. (Antonio Zanolini, Biografia di Gioachino Rossini, Bologna Zanichelli 1875)

1848, 1 maggio. Con tutto il piacere pubblichiamo la lettera che il Gran Maestro dirigeva da Firenze al Padre Ugo Bassi in risposta a quella con che, a nome dei Bolognesi, ne sollecitava il ritorno, e profferivasi a dettare un Inno Italiano confidando avrebbe condisceso a pubblicarlo....” Molto illustre e reverendo Signore; Il popolo bolognese, di cui mi è sì cara la stima, non poteva scegliere un interprete migliore di Lei, o Signore, per rendermi più graditi i sentimenti della sua affezione... Bologna fu sempre il centro delle mie simpatie. Ivi fin dalla mia gioventù, con compiacenza il rammento, appresi l'arte della musica... A Bologna, anche in mezzo alle attrattive e agli applausi delle più grandi metropoli d'Europa, furono sempre rivolti i miei pensieri, i miei affetti, il mio cuore. In Bologna, ritirandomi dai tumulti del mondo, ho stabilita la mia tranquilla dimora e la mia discreta , e non già, come altri crede, immensa fortuna. In Bologna ho trovato ospitalità, amicizia, il maggiore di tutti i beni, la quiete degli ultimi anni della mia vita. Bologna è la mia seconda patria, ed io mi glorio d'essere, se non per nascita, per adozione suo figlio...” ( Gazzetta di Bologna)


1848, 11 maggio. Dirti quanto io sia dolente di esser lontano da Bologna e dalle mie affezioni, fra le quali tu occupi un primo posto, è cosa impossibile. Le tue lettere mi furono di non lieve conforto; non essermene avaro e dimmi cosa si fa e cosa si dice in Bologna; parlami della tua salute; dammi contezza di quella di tua famiglia che tanto apprezzo ed alla quale dirai mille cose amabili per me... ( Lettera di Rossini a Domenico Donzelli, tenore, amico,e suo testimone di nozze)


1848, maggio. Scrivetemi cosa si dice, a Bologna, sul mio conto nei caffè. Come potrete credere, solo nei luoghi pubblici si conoscono le opinioni... ( Lettera di Rossini all'amico musicista Domenico Liverani)


1848. Inno Italiano ( versi del prof. Filippo Martinelli, musica di Gioacchino Rossini):
Segna Iddio ne' suoi confini/ Vario regno a varie genti;/Mal combattono i potenti/ Contro il senno del Signor.
Già lo Slavo e l’Alemanno / Si richiamano a Nazione, / Già vacilla e si scompone / Il colosso usurpator!
Tutti unisca una bandiera/ E dall'uno all'altro lido,/ Santo, invitto, eterno il grido;/Fuori, fuori lo stranier!
Già nell'iride d'Italia,/ S'incorona ogni drappello;/Già si abbraccia ogni fratello/ Delle cento sue città.
Armi freme ogni pensiero,/ Armi il guardo e le parole:/ Pio la scosse e Dio la Vuole/ L'Italiana libertà!”.
L'Inno, che Rossini volle dedicare al 'Municipio e alla Guardia civica di Bologna' venne eseguito a Bologna, in Piazza Maggiore, il 21 giugno, anniversario dell'incoronazione di Pio IX. ( Giuseppe Radiciotti, Gioachino Rossini. Tivoli 1927-29)


1850, 3 gennaio. Aggradii i tortellini: ma ora ti chieggo un favore: vorrei che mi mandassi la ricetta per far fare dal mio cuoco le zeppole alla napoletana: mi indicherai gli ingredienti che occorrono, le proporzioni e quanto fa d'uopo per ottenere la perfezione in tal materia... ( Lettera di Rossini a Domenico Donzelli)


1850, 4 settembre. Poichè il mio buon cavaliere Curgi è arrivato, vorrei gli faceste una visita per parte mia, e, dopo averlo affettuosamente riverito per me, gli domanderete se potrei (corrispondendo beninteso quella quota d'uso) avere da Loiano a Bologna una scorta di quattro carabinieri a cavallo; nel caso affermativo, ditegli quanti giorni prima della mia partenza da qui dovrei prevenire l'autorità per essere esaudito. Vorrei pure domandargli se è in sua facoltà di accordarmi un permesso di poter tenere in casa mia armi di lusso, e, se non è in sua facoltà, indicarmi il nome della Autorità Militare da cui dipende, affine di provvedere opportunamente: tutto ciò sia riservatissimo, ve ne prego...( Lettera di Rossini all'amico Nicola Ivanoff, stimatissimo tenore russo)


1850. A metà settembre Rossini e sua moglie, scortati dai carabinieri a cavallo, tornano a Bologna.


1851, 1 gennaio. Annuncia agli amici fiorentini che presto avrebbe fatto ritorno a Firenze. “ Il mio ritorno a Firenze avrà luogo ai primi di maggio p.v.”. (Lettera al principe Carlo Poniatowski)


1851. Intanto pensò a mandare innanzi e a mettere al sicuro gli oggetti di valore che aveva in casa: gioie, argenteria, quadri ed altre opere d'arte; e dispostili in tre casse e cinque bauli, il 12 febbraio 1851 andò a far visita al conte Nobili, governatore di Bologna, e lo pregò di farglieli passare in Toscana con i furgoni, che trasportavano mensilmente il denaro per le truppe. Mezzo più sicuro non avrebbe potuto trovare. Gli otto colli, contenenti ciò che il maestro chiamava “i tesori della mia corona”, partirono da Bologna all'alba del 18 marzo e giunsero a destinazione alle tre pomeridiane del 20; là furono ricevuti dal principe di Lichtenstein, che li consegnò in mano alla contessa Orsini, presso la quale rimasero custoditi fino al ritorno di Rossini a Firenze. (Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927-29)


Desidero ardentemente che nessuno sappia che voi date ospitalità ( che vi raccomando sicura) alle mie dovizie, perché nei tempi in cui viviamo meglio vale la fama di aver ucciso i propri genitori piuttosto che passare per ricco e possedere oggetti preziosi; mi capite mia buona contessa!! ( Lettera di Rossini alla contessa Antonia Orsini, nata Orloff,1851)


Fissando la sua dimora a Firenze, il Maestro sperava di ridonare la tranquillità al suo spirito e la salute al suo corpo; ma s'ingannava. I mali fisici aumentavano ogni giorno; il suo sistema nervoso s'indeboliva e s'irritava sempre più: era la nevrastenia che si avanzava a gran passo. Egli, così gioviale una volta, cominciava a perdere ogni gaiezza; così pienotto, prima, e florido nell'aspetto, andava adesso dimagrendo ed afflosciando a vista d'occhio; un umor tetro gli aveva fatto venire in uggia uomini e cose. (Giusepe Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927-29)


1853. “Hai tu dunque dimenticato, mio buon amico, lo stato d'impotenza mentale ognor crescente, in cui vivo?... La musica vuol freschezza d'idee; io non ho che languore e idrofobia. Pensa che sarei beato darti prova della mia tenerezza, servendoti; ma credi non posso”. ( Lettera di Rossini a Domenico Donzelli, in risposta alla richiesta di una composizione da far eseguire a sua figlia)


1854. “E' la prima volta ch'io ho parlato con questo celeberrimo uomo; ma oh quanto infelice! E che gli vale la sua grandissima rinomanza? La luce del suo alto intelletto par vicina ad oscurarsi; però che mi hanno contato alcuni che usano alla sua casa, com'egli mette spessi lamenti e sospiri; rompe improvviso in dirottissimi pianti; e, mirandosi sovente allo specchio, rimprovera se stesso di pusillanimità; e: A che venni, dice, e che fo io in questo mondo? E che dirà la gente che mi vede ridotto a farmi guidare da una donna (sua moglie) come un fanciullo? ( Prof. Filippo Mordani, Della vita privata di Gioacchino Rossini. Memorie inedite. Imola, Galeati,1871)
Ho tutti i mali delle donne. Non mi manca che l'utero (Rossini)


Rossini era veramente malaticcio, inquieto, nervoso, abbattutissimo, e depresso d'animo. Secondo lui il mondo lo aveva dimenticato, ed egli avrebbe voluto dimenticare il mondo, sottraendosi ad esso. Pochissimi amici, fra gli intimi, erano ammessi alla sua casa dopo il pranzo, e li riceveva rimanendo a tavola con lo stuzzicadenti in bocca che soleva tormentare rumorosamente... La conversazione non s'aggirava che sugli incomodi che soffriva, o che si immaginava di soffrire, e sui particolari della cura che il suo medico prof. Buffalini gli prescriveva di fare, alla quale però non voleva facilmente sottomettersi. (Emilia Branca. Felice Romani, ed i più riputati maestri di musica del suo tempo, Torino Loescher 1882)


Dopo avere per parecchi anni sperimentate invano le acque di Montecatini, volle il Rossini, nell'estate 1854, tentare i bagni di Lucca, visto che ne aveva ricavato gran giovamento il principe Carlo Poniatowski. Al ritorno, si sottopose ( ai primi di ottobre) alla cura magnetica...Finalmente, poiché la malattia progrediva rapidamente e gli accessi ipocondriaci-nervosi si ripetevano con violenza sempre maggiore, destando serie inquietudini, Olimpia pensò di condurre il marito a Parigi per metterlo sotto la cura di medici francesi, giacché gli italiani non riuscivano a guarirlo. Più che nei soccorsi della terapeutica, ella contava sull'influsso benefico, che il nuovo ambiente avrebbe esercitato sul morale, così depresso del maestro.... Il 26 aprile 1855, giornata serena, i due coniugi, insieme con due camerieri, Ninetta e Tonino, si misero in viaggio per Parigi, dove giunsero il 25 maggio. (Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini.Tivoli 1927-29)


1855. Il Maestro prese alloggio in Rue Basse du Rempart 52. Il lungo viaggio aveva contribuito ad aumentare il suo stato di spossamento. I medici curanti, tra cui si trovavano le prime celebrità di Parigi, si misero d'accordo sul regime che conveniva fargli seguire: l'ora dei pasti,il genere dei cibi, l'ora e la durata della passeggiata in carrozza, tutto fu regolato nel modo più metodico. I due domestici, condotti dall'Italia, facevano il servizio del quartiere: la cameriera Ninetta ed il vecchio Tonino, che, stretto al padrone da un affetto vivissimo, dormiva nella camera di lui e non lo lasciava né giorno né notte. Olimpia vegliava scrupolosamente alla rigorosa esecuzione della cura prescritta. (Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini. Tivoli 1927-29)


L'Olimpia mi circonda d'una triplice circonvallazione: il portiere, Tonino e lei. La prima è un fortino; la seconda un formidabile bastione; quanto alla terza bisogna essere invincibile per superarla” . (Rossini)


Per uno strano fenomeno, di cui si lamentava, tutti i suoni, che percuotevano il suo orecchio, gli davano al tempo stesso la sensazione della terza superiore. Questa alterazione dell'udito lo rendeva infelicissimo. Quando , per esempio, i sonatori di organetti, allora così numerosi a Parigi, si fermavano nel cortile della sua abitazione, il Rossini ne provava un tal malessere da somigliare ad un supplizio. Sua moglie perciò aveva messo a disposizione del portiere un fondo speciale, perché a forza di scudi tenesse lontani i sonatori ambulanti. Il supplizio diveniva più infernale, a suo dire, quando passavano le truppe sul boulevard. Il suono delle trombe producevano sul suo timpano tale impressione da cagionargli sovente forti attacchi nervosi.(Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini. Tivoli 1927-29)


1855, giugno. A poco a poco, però, i benefici del soggiorno parigino, le cure, le graduate distrazioni fecero sentire i loro effetti... Si fecero allora più numerose le visite:”Mattina e sera il salotto del celebre compositore è ingombro di amici; egli parla con tutti e sembra provare una vera felicità nel ritrovare i suoi fedeli. L'altra sera abbracciando il m. Verdi (che era a Parigi per la messinscena dei suoi Vespri siciliani all'Opéra, ndr) gli disse: Tu non sai in quale galera sei entrato! Ahimè! Il Verdi già lo sa ed anche troppo!... Giorni sono, sotto pretesto di mostrargli una bella veduta di Bologna, il Rossini fu condotto allo stabilimento fotografico Mayer. Mentr'egli se ne stava tranquillamente seduto, per meglio osservare la veduta, il fotografo lo ritrattò senza che se ne accorgesse. “ Ah, signore! , esclamò il Maestro, quando nel momento di uscire, il Mayer gli presentò la negativa e fissata, “ Mi avete fatto un brutto scherzo”. (France Musicale)


1855, luglio. Giunta l'estate, consigliato dai medici ad andare a respirare l'aria di Trouville, luogo di bagnatura per il mondo elegante ed insieme di quieto riposo, vi si recò ai primi di luglio. Là trovò, fra gli altri, il m. Ferdinando Hiller, che, per tutto il tempo che vi si trattenne, fu suo compagno di ogni giorno. (Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini. Tivoli 1927-29)


Il Rossini ha ora 63 anni, ma i lineamenti del suo volto sono presso a poco eguali a quelli di una trentina di anni fa. E' difficile trovare un sembiante più intelligente, occhi più espressivi e fronte più bella. La sua fisionomia ha una vivacità meridionale, che parla d sé ed è irresistibile nell'espressione del buon umore, dell'ironia, e della furberia; la sua voce è delle più flessibili e gradevoli: nessun tedesco del sud riesce a rendersi al tedesco del nord più piacevole del Rossini, se lo vuole. Egli è la persona più socievole che si possa immaginare; credo che non si stanchi mai di stare in compagnia, di conversare, di raccontare, e specialmente di ascoltare; e possiede inoltre l'arte, propria dei meridionali, di rendersi accetto a tutti; per i fanciulli e per i vecchi, per gli aristocratici e per i popolani, egli trova sempre la parola acconcia senza cambiar contegno. E' dunque una di quelle nature felici, in cui tutto è innato e tutte le modificazioni avvengono spontaneamente. Niente di forzato si trova nella sua persona, come nella sua musica: ecco la qualità che gli ha conquistato tanti cuori. (Ferdinand Hiller, Chiacchierando con Rossini. 1855 )


1856. Come termine della cura, i medici prescrissero a Rossini i bagni di acqua minerale; ed egli infatti sui primi di giugno del 1856, si recò (sempre in vettura, s'intende) a Wildbad, nel Wurtemberg, a poche miglia da Stoccarda. Anche a Wildbad, come l'anno precedente a Trouville, egli era l'oggetto della curiosità e dell'ammirazione universale. (Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927-29)


Tra gli ospiti di Wildbad v'è persona, che ha il privilegio di attirare l'attenzione di tutti i bagnanti: è un uomo attempato, dall'andatura un po' tremolante, ma dalla fisionomia aperta e dall'occhio vivo, che si è iscritto nei registri dell'albergo sotto il nome di Rossini, compositeur de musique. Egli si mostra cortesissimo con tutti coloro che si occupano di lui. Un giovane, grande ammiratore del celebre musicista, gli si fece presentare, dicendogli che non poteva decidersi a partire da Wildbad, senz'averlo veduto. “ Eh bien ! - gli rispose in francese il maestro – Monsieur, regardez-moi!.Vous voyez ca un vieux rococo...” ( Theater-Journal di Monaco di Baviera,1856)


1856. Completamente guarito Rossini non pensò più a ritornare in Italia. Parigi gli aveva ridonata la salute; a Parigi aveva trovata quella tranquillità che tanto desiderava , e decise di finirvi i suoi giorni. Prese in affitto una casa al n.2 della Chaussée d'Antin, nell'edificio che ancora oggi forma l'angolo della Chaussée d'Antin e del Boulevard des Italiens. Il Boulevard era il luogo di passeggio prediletto del Maestro che lo chiamava 'il mio boulevard'. Centro dell'eleganza, degli affari, sul passo giornaliero di tutta Parigi, era proprio il quartiere più rumoroso, più tumultuoso della città. Carrozze, omnibus, barrocci ecc... facevano un frastuono continuo giorno e notte. E' singolare che il Rossini, abituato alla quiete di Firenze, scegliesse proprio questo luogo. ( Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927)


1857. I nuovi amici di Rossini, i quali avevano notizia della spedizione che egli attendeva dall'Italia (mobili del palazzo di Firenze, argenteria, quadri, oggetti d'arte ndr.) affermavano che gli sarebbe facile ottenere la esenzione del dazio molto oneroso; ma egli non volle domandarla. Giunte in Parigi le casse di Rossini, si aprivano in presenza di lui e del suo agente, dovendosi farne la stima per ogni capo ed applicarvi il dazio, quando giunse nella dogana un Ispettore, mandatovi dal Ministro delle finanze, il quale, data un'occhiata alle casse, disse che la stima di masserizie tante e così diverse avrebbe richiesto assai lungo tempo, e non si doveva, neppure alle cose appartenenti a Rossini, ritardare l'ingresso a Parigi. Domandò quindi se gli si permetteva di fissare così in grosso il valore; Rossini ad acconsentire non esitò e l'Ispettore tutte quante insieme le valutò mille franchi. In questa guisa il governo di Napoleone III volle dare a conoscere ch'egli faceva al ritorno di Rossini il ponte d'oro. (Antonio Zanolini, Biografia di Gioachino Rossini, Bologna Zanichelli 1875)


A Parigi le giornate di Rossini cominciavano solitamente con la sveglia alle otto. La signora Olimpia l'aiutava a vestirsi; dopo la visita del barbiere, faceva colazione: una gran tazza di caffè e latte ed un panino. Più vecchio, invece, con due uova alla coque ed un bicchiere di bordeaux. Aiutato dalla moglie passava alla lettura della numerosissima corrispondenza, dei giornali e riviste di musica. Riceveva visite fino alle 10.30, poi prendeva il suo cappello a falde larghe, si appuntava alla cravatta un medaglione con l'effigie di Haendel ed usciva. Se il tempo lo consentiva passeggiava per un'ora circa sul boulevard, qualche volta faceva visita agli amici e sbrigava le eventuali commissioni sue e di sua moglie. In primavera, quando il caldo cominciava a farsi sentire, andava in carrozza al Bois de Boulogne e vi restava fino a mezzogiorno, quando, in carrozza, faceva rientro a casa. Alle sei, il pranzo, semplice ma gustoso: un misto di cucina francese ed italiana. Il sabato la sua tavola era apparecchiata per dodici e talvolta per sedici persone. Alla sera non usciva mai. Dopo pranzo rientrava in camera per una breve siesta; fumava poi un sigaro leggero. Subito dopo rientrava nella camera da pranzo, dove la moglie gli leggeva i giornali. Dopo le 8.30 pomeridiane arrivavano le visite degli amici con i quali parlava di arte, politica libri nuove produzioni, musica. Parlava poco ma ascoltava molto e con interesse. Qualche volta le conversazioni erano rallegrate da un po' di musica, quasi sempre improvvisata da Rossini che suonava il pianoforte e cantava pure. Quando guardava l'orologio, voleva dire che si avvicinava l'ora del riposo. Alle dieci precise, egli diceva: 'Ecco l'ora canonica!', e tutti salutavano e lasciavano la casa.
Il sabato era giornata di gala. Alla tavola, apparecchiata con lusso ostentato, sedevano dalle dodici alle sedici persone, e la signora Olimpia, per le visite che cominciavano verso le 9 di sera, apriva la sala grande. Fra gli invitati gente di ogni ceto e professione: principi, uomini di Stato, scienziati, letterati, artisti, gente di teatro, signore e personalità fra le più note del mondo parigino. (Testimonianze varie)


A Rossini, buongustaio, noto per la sua ghiottoneria, arrivavano prelibatezze e leccornie da ogni parte. Maccheroni da Napoli, prosciutti da Siviglia, mortadelle da Bologna, zamponi da Modena. Il marchese Brusca gli mandava regolarmente il famoso stracchino ed il mascarpone dalla sua Gorgonzola, il banchiere Rothschild panieri di Lafitte; il duca di Metternich il Johannisberg ( prodotto dal nobile nella tenuta dell'omonimo Schloss, ndr), il violoncellista Vitali le famose olive di Ascoli Piceno ecc... ( Testimonianze varie)


Ad una di queste cene, sempre interessantissime, assistevano i maestri Auber, direttore del Conservatorio, e Verdi, di passaggio a Parigi. L'Auber, conversatore assai spiritoso, il Verdi taciturno. ( Louis Diémer, pianista. Le ménestrel, 30 luglio 1920)


1859, 10 marzo. Rossini, in persona pose la prima pietra della sua villa di Passy, nella campagna parigina, dove passare l'estate. Costruita su un terreno acquistato dal Comune di Parigi, nel quartiere chiamato 'Beauséjour', perchè il più fresco ed ameno di tutta Passy, anche per la sua vicinanza al Bois de Boulogne. Ne aveva affidato il progetto all'arch. Doussault. Ogni mattina, verso le 7, i l maestro lasciava la sua dimora in affitto sempre a Beauséjour e si dirigeva verso il cantiere, per sorvegliare l'andamento dei lavori. Dall'Italia vennero chiamati due valenti artisti per dipingere gli appartamenti. Agli angoli dei soffitti del salone e della sala da pranzo i medaglioni con i ritratti di celebri musicisti. Nel salone: Palestrina, Mozart, Cimarosa, Haydn e Padre Mattei, suo maestro. Nella sala da pranzo: Beethoven, Grétry e Boieldieu.
All'arrivo della primavera Rossini lasciava la sua casa parigina e si trasferiva a Passy, in villa. Dal giorno del suo arrivo, una lira dorata, posta sul cancello d'ingresso, annunciava la presenza del compositore. (Testimonianze varie)


1860, marzo. Dopo esser stato tante volte ricusato ( da Rossini, secondo quel che si diceva e lui, di conseguenza, credeva ndr.), Wagner una mattina, che io ( Gaetano Braga, compositore e violoncellista ndr.) ero da Rossini, si annunziò. Rossini, che aveva sette parrucche, e in quel momento ne aveva una sporchissima, mi disse di dargli quella del mercoledì, che era la più bella e la più nuova: si abbottonò la brachetta, che teneva sempre aperta, e disse al domestico: fate entrare il signor Wagner. (Vincenzo Bindi, Gaetano Braga, da' ricordi della sua vita, Napoli 1927)


Ah signor Wagner, non temete, novello Orfeo, di attraversare questa terribile soglia (di casa sua, a Parigi, ndr.) - disse Rossini. So che si cerca di rendermi odioso ai vostri occhi, attribuendomi un'infinità di motteggi, che non troverebbero alcuna giustificazione da patte mia. E perché dovrei agire così? Io non sono né Mozart né Beethoven, e neppure ho la pretesa di essere un dotto; ma tengo invece ad essere garbato e mi guardo bene dall'ingiurare un musicista, che ( come mi han detto) si forza di estendere i confini dell'arte nostra. I maligni, che si divertono alle nostre spalle, dovrebbero concedermi, se non altro, il merito di possedere il senso comune. Eppoi, per disprezzare la vostra musica, dovrei conoscerla e sentirla sulle scene, poiché è scritta per esse; ed io non vado mai a teatro...
Io ( Rossini,ndr.) avevo una certa facilità e molto istinto. Non possedendo un'istruzione musicale approfondita, quel poco che sapevo lo appresi dalle partiture tedesche: la Creazione ( Haydn ndr.), le Nozze di Figaro ( Mozart, ndr.). Il Flauto magico ( Mozart ndr.) ecc... che un dilettante di Bologna mi prestava, giacché a quindici anni non avevo i mezzi per farmele venire dalla Germania... Ah! Se avessi potuto fare i miei studi scolastici nel vostro paese, avrei potuto produrre qualche cosa di meglio di quel che ho composto...”
Voi mi citate i felici quarti d'ora della mia carriera - disse Rossini a Wagner che magnificava alcuni passi famosi delle sue opere – Ma che è questo in confronto dell'opera di un Mozart o di un Haydn? Non vi saprei dire abbastanza quanto io ammiri in questi maestri quella scienza così maneggevole, quella sicurezza così naturale nell'arte di scrivere. Ma ciò si deve apprendere sui banchi della scuola, ed inoltre bisogna essere Mozart per saperne trarre profitto. Quanto a Bach ( per rimanere ancora nel vostro paese), egli è un genio stupefacente. Se Beethoven è un prodigio dell'umanità, Bach è un miracolo di Dio! Io sono abbonato alla grande pubblicazione delle sue opere (per poterle ricevere man mano che vengono pubblicate ndr.):eco vedete là sul mio tavolino, l'ultimo volume recentemente uscito. Oh! Potessi, prima di andarmene da questo mondo, sentire un'esecuzione integrale della sua Passione ( Passione secondo Matteo, ndr.)! Ma qui in Francia non bisogna pensarci...
Ah, Maestro, se non aveste gettato la penna dopo il Guglielmo Tell, a 37 anni! Un vero delitto! Neppure voi sapete ciò che avreste tratto da cotesto vostro cervello! E pensare che allora avete proprio cominciato... Che volete? - rispose Rossini in tono serio - Non avevo figli; se ne avessi avuti, avrei certamente continuato a lavorare; ma, a dirvi il vero, dopo aver penato quindici anni e composto, durante questo periodo di infingardaggine, quaranta opere, sentivo il bisogno di riposarmi e ritornai a vivere tranquillamente a Bologna. Del resto le condizioni dei teatri d'Italia, che già fin dal principio della mia carriera lasciavano molto a desiderare, erano in piena decadenza; la parte del canto era andata in rovina: cosa da prevedersi... Son queste ed altre ancora, le ragioni per cui credetti che il meglio che mi restasse da fare era il tacere: ho taciuto e così è finita la commedia … ( Edmond Michotte. Visita di Wagner a Rossini,1860)
Per le parole di modestia, come pure per il suo fare gioviale, ma bonario e serio, con il quale si era espresso, Rossini fece in me l'impressione del primo uomo veramente grande e degno di rispetto, incontrato fino a quel momento nel mondo dell'arte! (Richard Wagner)



1862, 14 maggio. Ora che sta in villa (Passy, ndr.) si alza alle 7 del mattino, fa accuratamente la sua toilette e quindi si pone a scrivere. Alle 10,30 scende nel piano terreno nella sala da pranzo a far colazione. Dopo la quale risale in camera a studiare sino all'ora del passeggio, l'una dopo il mezzogiorno. Di solito va al Bois de Boulogne, che sta a poca distanza dalla sua casa. Al ritorno si cambia gli abiti, se è in traspirazione si toglie la parrucca e si pone in capo un asciuttamano piegato in due ed in quella guisa passeggia su e giù per la camera, fino a che non sia del tutto libero dal sudore. In quei momenti egli non si lascia vedere da chicchessia; pur nondimeno, un giorno, tornando insieme dalla passeggiata, fui, per speciale favore, fatto da lui entrare in camera e potei vederlo in quella strana foggia, la quale mi dette agio di osservare il cranio di Rossini, di bellissima forma e completamente calvo, da ricordare le teste di Cicerone o di Scipione africano. Di questa sua totale mancanza di capelli, non ho mai udito parlare da alcuno, per cui ne fo qui particolare menzione. Dopo breve riposo si pone nuovamente al lavoro rimanendo in camera sin quasi all'ora del desinare, prima del quale passeggia alcun poco in giardino tra le aiuole, da lui preziosamente disposte allorché divenne possessore di questo terreno. (Guglielmo De Sanctis. Gioacchino Rossini: appunti di viaggio, in Rivista Romana di Scienza e Lettere, 1878)


1864. Rossini fa eseguire, il 14 marzo 1864, nel palazzo della contessa Louise Pillet-Will, cui l'aveva dedicata, la Petite Messe Solennelle, uno dei suoi ultimi capolavori. A chiusura della partitura, la dedica al 'Buon Dio' con la richiesta del Paradiso. Durante la composizione della Messa, che lo tenne occupato per due mesi nel 1863, Rossini si mostrava di umore ben diverso dal solito: era diventato irritabilissimo; si era fatto pensieroso, taciturno ed oltremodo impaziente; onde coloro che si prendevano cura di lui, e segnatamente sua moglie, Olimpia, vigilavano perché nulla venisse a contrariarlo. (Testimonianze varie)


1865. Il 21 maggio fu celebrata la festa di san Gioacchino, onomastico di Rossini, da Passy, dove il musicista risiedeva, a Pesaro, sua città natale. Ma anche a Bologna che dopo aver celebrato solennemente l'onomastico di Rossini, gli intitolò la piazzetta San Giacomo e fece porre una epigrafe sulla porta principale del Liceo musicale; Berlino battezzò con il uso nome un nuovo teatro; da Parigi, l'imperatore Napoleone III gli invia il decreto di promozione a Grande Ufficiale della Legion d'Onore.( Testimonianze varie)


1865. “ Io non mi sono trovato mai imbarazzato dinanzi ai grandi della terra. Eppure quando il 21 marzo 1865, salivo le buie scale della Rue Chaussée d'Antin, n.2 (indirizzo parigino di Rossini,ndr.) mi sentivo battere il cuore. Traversata una grande e piuttosto oscura anticamera, entrai nello studio di Rossini. Egli, che stava seduto presso un tavolino coperto di carte, mi vene immediatamente incontro, tutto diverso da quel che me l'ero immaginato, l'eroe dell'arte, e mi presentò la sua signora, piccola di statura e piuttosto grassa, ma gaia e spiritosa. ( Carl Maria von Weber, celebre compositore, in Deutsche Ruindschau, 1875)


Durante l'estate del 1867, Carl Maria von Weber fece di nuovo visita a Rossini, che lo ricevette nel giardino della sua villa, a Passy. Mentre parlavano di musica, di tanto in tanto l'acuto fischio della locomotiva che proveniva dalla vicina stazione interrompeva i loro discorsi. Weber osservò: “ Chissà come offenderanno il vostro musicale orecchio questi modernissimi suoni dissonanti! E Rossini: “Oh, no! Questo fischio mi ricorda, sempre i beati tempi della mia gioventù. Mio Dio, quanti fischi ho intesi alle rappresentazioni delle mie prime opere, come a quelle della Cenerentola... ( Carl Maria von Weber, in Deutsche Ruindschau, 1875)


1867. Durante l'inverno, Rossini dà sei od otto soirées musicali nella sua residenza in città. Intervenire alle soirées del celebre Maestro è l'ambizione dei Parigini. La casa del Maestro è ben lontana dall'avere i requisiti necessari per accogliere i numerosi invitati. Una schiera di signore scintillanti di gemme occupa l'area intiera della sala musicale; gli uomini stanno in piedi, appiccicati insieme per modo da non potersi più muovere. Le porte sono aperte; qua e là, di tempo in tempo, un servo con rinfreschi si sospinge fra la stipata folla, ma si sa che ben poche persone (e per lo più straniere) profittano di quelle imbandigioni. Si dice che la signora di casa non approvi tale contegno. Circa l'attuale Madame Rossini nulla ho da dire, se non che essa è ricca ed un tempo è stata bella. Un baldo naso romano da scultura, come una torre risparmiata dal tempo, sorge fra le rovine della primitiva bellezza; il resto è coperto di brillanti... ( Eduard Hanslick, Dalla mia vita, Berlino 1894)


1867. Ebbi la fortuna di fare la personale conoscenza del grande compositore a Parigi, nell'aprile del 1867, cioè un anno e mezzo prima della sua morte. La conversazione che ebbi con lui durante la mia prima visita fu troppo caratteristica perché io possa resistere alla tentazione di riferirla. Dopo i primi saluti in francese e dopo avermi chiesto notizie della Sig.ra Viardot-Garcia, il maestro mi disse: Ella mi trova a dare gli ultimi tocchi ad una composizione, che ho destinato ad essere eseguita quand'io non sarò più... Non creda però che io mi affretti a compiere questo lavoro per timore che la morte mi impedisca di giungere alla fine; mi preme di strumentare la mia composizione, perché, se no, potrebbe capitare poi nella mani del Sig. Sax e compagni. Qualche anno fa, feci eseguire la mia modesta Messa ( Petite Messe Solennelle, ndr) con accompagnamento di pianoforte; dopo la mia scomparsa potrebbe uscir fuori a strumentarla il Sig. Sax con i suoi saxofoni o il Sig Berlioz, od altri giganti dell'orchestra moderna, che ammazzerebbero con i loro chiassosi strumenti le mie poche voci di canto e me stesso; car je suis rien qu'un pauvre mélodiste.... E dopo aver parlato a lungo di Wagner, concluse: ciò che non ho potuto mai comprendere, né comprendo ancora, è come un popolo, che ha dato all'arte un Mozart, possa dimenticarlo per un Wagner... I Tedeschi sono stati in ogni tempo i più grandi armonisti e gli Italiani i più grandi melodisti; ma dal momento che il Nord ha dato alla luce un Mozart, noi del Sud siamo stati battuti sul nostro proprio campo, perché quest'uomo si eleva sopra ambedue le nazioni, riunendo in sé tutto l'incanto della melodia italiana e tutta la profondità dell'armonia tedesca. Ora, se la sua musica deve riconoscersi per sovranamente bella, sublime, noi vecchi superstiti possiamo risolutamente benedire la nostra prossima fine, che ci permetterà di andarla a sentire in Paradiso in compagnia del suo autore...(Emilio Naumann, storico tedesco)


Strumentata la Messa, Rossini desiderava farla eseguire in una qualche basilica; ma come fare se da tempo erano scomparsi dalle cappelle musicali i sopranisti ed i contraltisti e alle donne era proibito cantare in chiesa promiscuamente con gli uomini? Si rivolse allora al prof. Ferrucci, insigne latinista, pregandolo di scrivergli una lettera in latino da presentare a Sua Santità Pio IX, che sapeva essere appassionato di musica. “ So - scriveva al prof. Ferrucci - che egli ( Pio IX, ndr) ama la musica; so ancora non essergli io sconosciuto; poiché persona che lo ha inteso cantare passeggiando nel giardino Vaticano ' Siete Turchi non vi credo' ( dall'opera di Rossini , Il turco in Italia, ndr.), si è accostata a lui per complimentarlo della bella voce e della bella maniera di servirsene, alla quale Sua Santità rispose: 'Mio caro, da giovane io cantava sempre la musica di Gioacchino! (Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927-29)


1867. G. Rossini soffre del presente rigore invernale e ha dovuto contromandare sino a nuovo ordine le sue abituali riunioni del sabato. ( Revue et Gazette musicale , 1 dicembre 1867)


1868, 29 febbraio. Nella ricorrenza del suo compleanno, Rossini fu festeggiato da amici ed ammiratori con maggiore espansione del solito. Fu, purtroppo, l'ultima volta che i suoi amici poterono sedersi alla sua tavola in quella festa tradizionale. Ad un capo della tavola stava un pasticcio, dono della baronessa Rotschild, con la scritta “Bonheur et Santé- 1868”; al lato opposto altre confetture in forma di ghirlande recanti i titoli dei suoi principali lavori, mentre un cigno ( il Cigno di Pesaro, Rossini, ndr) dalle ali spiegate ne formava la base. Alle frutta, il grande oratore Berryer, si alzò e prese la parola: “Mio caro Maestro, mi chiedono di brindare alla vostra salute ed io ubbidisco dal fondo del mio cuore agli amici vostri, che, felici di ammirarvi, sono anche orgogliosi di sapervi amare e tengono a conservarsi la vostra amicizia. Noi festeggiamo questo giorno, in cui siete stato dato al mondo per l'onore dell'umanità. Voi avete coronato l'opera dei vostri predecessori coi vostri capolavori e noi non possiamo fare all'arte dell'avvenire migliore augurio che quello di sapersi oranre dei fiori e della foglie della vostra corona. Voi potete contare gli anni, ma non dovete temerli, poiché saranno sempre giovani dell'eterna giovinezza dei vostri trionfi, del vostro genio”.. Gustave Doré regalò, in quell'occasione, alla signora Olimpia un ventaglio dipinto, con l'effigie di Rossini, e la sera vi fu un gran concerto. (Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927-29)


1868, settembre. Vittorio Emanuele II decorò Rossini con l'onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Corona d'Italia; e Rossini offrì al Re, in segno di riconoscenza, una composizione per banda militare, sul cui autografo si legge: “La 'Corona d'Italia'- Fanfara per musica militare offerta a S.M. Vittorio Emanuele II dal riconoscente G. Rossini”. La musica della Fanfara fu inviata al Ministro Broglio accompagnata da una lettera ( 10 settembre 1868) che iniziava così: 'Promissio Boni Viri est obligatio'. Nella lettera Rossini, accennando ai saxofoni previsti dalla Fanfara, li chiamava “ il solo e vero progresso della musica in questi ultimi tempi ”. (Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927-29)


1868, ottobre. Con l'appressarsi dell'inverno e dei primi freddi, Rossini, già da qualche anno, andava soggetto per qualche settimana a violenti attacchi di tosse; ma questa volta l'invasione del catarro cronico raddoppiò di gravità. La sua costituzione si era grandemente indebolita. Il Maestro, sotto un'apparenza di robustezza e di salute, celava un'affezione organica del cuore, ereditata da sua madre. Si raffreddava facilmente, ed ogni raffreddore era accompagnata da abbondante secrezione bronchiale, che spesso si alternava con un catarro intestinale; una certa prostrazione muscolare lo aveva obbligato ad una vita piuttosto sedentaria, contrariamente alle sue abitudini. (Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927-29)


A causa dell'aggravarsi delle sue condizioni di salute, Rossini non potè lasciare Passy per riprendere la sua residenza invernale a Parigi. Messosi a letto, i medici constatarono che la malattia si era complicata con un fistola al retto. La flussione fu presto combattuta, ma l'operazione alla fistola, divenuta necessaria, si dovette ritardare per la protrazione delle forze in cui era caduto l'infermo. Non appena parve aver coscienza della gravità del suo stato, il Maestro si condannò ad un volontario mutismo quasi assoluto. L'operazione fu fatta nel mattino del 3 novembre e durò cinque minuti. Il dott. Nélaton (che eseguì l'intervento ndr.) rimase spaventato dai progressi compiuti sordamente dal male: il focolaio si era largamente esteso al tessuto cellulare circostante. L'emorragia fu istantaneamente arrestata da una'ppliczione di ipercloruro di fero; doopo di che il Maestro fu rimesso a letto. Ritornato in sé, non ebbe alcun sospetto delle grave operazione che aveva subito. (Edmond Michotte a Radiciotti, in Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927-29)


1868, 5 novembre. Uno stato normale di buon augurio si manifestò dopo l'operazione... L'illustre malato si lagnava di rado... si nutriva unicamente di brodo... due volte al giorno bisognava mantenere in buono stato la piaga per aiutare la cicatrizzazione... ma il 5 novembre, durante la visita del mattino, il dott. Nélaton, meno rassicurato dal cattivo aspetto di un lato della piaga, giudicò necessaria una seconda operazione da farsi immediatamente, e che fu praticata nelle stesse condizioni della prima: con una leggera cloroformizzazione, a causa dell' affezione cardiaca di cui Rossini soffriva da tempo ma che non gli aveva mai dato fastidio. La piaga, nei giorni successivi, parve cicatrizzarsi, tanto che il dott. Nélaton osò dire: Penso che lo salveremo! (Edmond Michotte a Radiciotti, in Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927)


Si notò anche in Rossini un cambiamento notevole e si assoggettò con maggiore rassegnazione alle cure... Ogni mattina si doveva trasportare da un letto in un altro; e non era così semplice farlo, perché egli era molto corpulento e non tollerava la minima scossa. Quattro infermieri degli ospedali parigini, chiesti dal dott. Nélaton, giungevano ad ora fissa: ciascuno di loro afferrava un capo del lenzuolo, sul quale riposava il malato, e, sollevandolo con uno sforzo simultaneo, lo deponevano nel letto vicino... In una visita dei giorni seguenti il 5 novembre il dott. Nélaton vide apparire i primi sintomi del riassorbimento purulento, e in una seconda visita, fatta nella stessa sera, ogni dubbio svanì: il grand'uomo era perduto! (Edmond Michotte a Radiciotti, in Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927)


Rossini aveva coscienza del suo stato. Avendogli il dott. Barthe (uno dei suoi quattro medici curanti, gli altri: Nélaton, Vio Bonato, D'Ancona) ndr.) chiesto: Maestro come vi sentite questa mattina?, si sentì rispondere: Aprite la finestra e gettatemi nel giardino; allora starò bene; non soffrirò più. Un nuovo tormento forse più spaventevole ancora, venne ad accrescere il numero delle sue miserie. La sete! Sete ardente, implacabile, inestinguibile, continua. I medici, per motivi non spiegati, avevano vietato nel modo più esplicito l'uso troppo frequente del ghiaccio; mentre l'infermo lo chiedeva ogni momento: Ardo! Ghiaccio! Ghiaccio! (Edmond Michotte a Radiciotti, in Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927-29)


1868, 10 novembre. Mentre i medici avevano assolutamente proibite le visite di estranei, si vide un giorno entrare in villa il Nunzio apostolico, Monsignor Chigi, che disse di essere venuto a portare, da parte del Santo Padre, la benedizione in articulo mortis. A tali parole i lineamenti del malato assunsero una tale espressione di scontento che la signora Olimpia, atterrita, pregò il prelato di non prolungare la visita. Per tutta la giornata Rossini fu preda di terribili angosce. (Edmond Michotte a Radiciotti, in Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927)


Dopo l'imprudenza del Nunzio doveva riuscire sempre più difficile indurre il povero malato a ricevere gli ultimi sacramenti. Il dott. Barthe, visitandolo gli disse: Maestro vi trovo più agitato del solito, i miei rimedi, me ne accorgo bene, sono insufficienti a rendevi la calma di cui avete tanto bisogno, e perciò vorrei condurvi l'abate Gallet di San Rocco. Voi lo conoscete, è anche mio amico ed è uomo molto mite, simpaticissimo. Rossini lo accolse bene: avete una bella voce, signor abate! Rimasto solo con Rossini, l'abate gli chiese se era stato sempre credente. Il Maestro rispose: avrei potuto scrivere lo Stabat e la Messa, se non avesi avuto la fede? Eccomi pronto. Cominciamo! E si dispose a confessarsi. Terminata la confessione, il Maestro mi disse: Continuate a parlare; non mi sento affaticato. La vostra voce mi ha fatto tanto bene. Grazie! Voi mi avete liberato da un gran peso. Ritornerete presto, non è vero? Si confessò anche la signora Olimpia. Poi Rossini, con un certo calore riprese: Signor abate, è il clero italiano che ci ha perduti... L'anima vostra, Maestro, è troppo grande - rispose l'abate - e voi siete vissuto in un ambiente troppo elevato per far dipendere le vostre convinzioni dalla condotta degli uomini... E Rossini: Li ho visti troppo da vicino i preti italiani; se avessi praticato soltanto con preti francesi, mi sarei mantenuto cristiano... La sera seguente ( 12 novembre, ndr) l'abate tornò per dare all'infermo l'estrema unzione. ( Dal racconto dell'abate Gallet di San Rocco pubblicata su Le Figaro , il 27 febbraio 1892)


1868, 12 novembre, sera. Dopo l'ultima benedizione, i presenti nella camera del Maestro scoppiarono in singhiozzi: si sarebbe detta un famiglia desolata presso al letto di morte del migliore dei genitori. L'impressione ricevuta da quella commovente scena non si cancellerà mai dalla mia memoria. Sì! Gli artisti hanno cuore; gli artisti hanno fede; e forse precederanno nel regno di Dio molti di quelli, che si credono migliori di loro (Nella camera del maestro si trovavano, tra gli altri, tre celebri cantanti: Maria Alboni, Adelina Patti e Antonio Tamburini, ndr.). ( Dal racconto dell'abate Gallet di San Rocco pubblicata su Le Figaro, il 27 febbraio 1892)


1868, 13 novembre. Verso le dieci ( di sera, ndr) Rossini pronunciò un nome, quello di sua moglie; fu l'ultima parola che uscì dalle sue labbra. Giunto l'istante supremo, si andò ad avvertire la signor Olimpia, che, affranta dalle lunghe angoscie, si era assopita un momento nella stanza vicina. Ella accorse per raccogliere l'ultimo respiro del marito, i cui occhi erano rimasti fissi, spalancati. Un movimento spasmodico della mano fece credere ancora per un istante alla presenza della vita, ma non era che l'ultimo barlume. (Edmond Michotte a Radiciotti, in Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927)


Il dott. D'Ancona, assicuratosi che tutto era veramente finito, rivolgendosi alla vedova: Signora - le disse - Rossini ha cessato di soffrire. Ella si gettò sul corpo dello sposo e l'abbracciò per l'ultima volta, esclamando: Rossini, je serai toujours digne de toi! A gran pena e dopo molte preghiere si riuscì a strapparla dal cadavere. Erano le 11 e 5 minuti del pomeriggio ( alle 23,05 ndr.) del 13 novembre 1868. Il grande Maestro aveva compiuti 76 anni, 8 mesi e 15 giorni. (Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927)


1868, 14 novembre. Rossini è morto ieri. Questo fu il grande e doloroso avvenimento della sera. Egli non apparteneva al nostro paese, ma, se la Francia non era la sua patria di nascita, era però la sua patria d'elezione...Rossini, il grande compositore, è l'eguale di Lamartine e di Chateaubriand...La storia dirà qual posto egli occupi come genio musicale e come genio veramente umano, capace di tutto abbracciare nella meravigliosa pieghevolezza della sua vasta intelligenza. Essa dirà Rossini, come noi diciamo Dante, Shakespeare, Molière, Goethe. ( France, 14 novembre 1868)


La mattina del sabato, 14 novembre, si preparò la camera mortuaria. Il Maestro riposava nel sonno eterno con una corona di alloro in fronte ed un ramoscello di bosso benedetto sul cuore. I lineamenti del volto, che la malattia non aveva alterati, la plasticità di quella calma assoluta in cui la morte avvolge tutto ciò che ha toccato, colpiva specialmente l'aspetto dantesco del profilo. Gustavo Doré, avvertito dal fratello, venne immediatamente e prese subito due schizzi, uno di fronte, l'altro di profilo, degni ambedue del suo nome. L'imbalsamazione ebbe luogo il lunedì 16, secondo il processo Falcony, consistente nell'iniettare nelle arterie, da un'incisione fatta nel collo, un liquido speciale, destinato, a detta dell'inventore, a preservare il corpo da ogni corruzione. Lo steso inventore, assistito dal dott. D'Ancona, eseguì l'operazione, dopo la quale però il volto del Maestro apparve molto depresso ed il profilo perdé la serena purezza di linee conservata fino allora. La stessa sera il corpo fu deposto nel feretro, che si componeva di una doppia casa di legno prezioso, l'esterna guarnita di drappo nero, ornato agli angoli di due galloni d'argento fissati su lla stoffa con borchie cesellate. Sul coperchio brillava una targa d'oro, su cui si leggeva a grandi lettere: Gioacchino Antonio Rossini/ né à Pesaro le 29 fevrier 1792/ mort à Passy-Paris le 13 novembre 1868 . Alle 7 della sera di lunedì 16, il feretro abbandonò Passy; fu portato nella Chiesa della Maddalena e deposto in una tomba provvisoria, in attesa del giorno dei funerali, che fu fissato per il sabato successivo, 21 novembre. (Testimonianze varie)


Le richieste di ammissione ai funerali erano salite a quasi 5000, mentre la Chiesa della Maddalena ne poteva contenere tutto al più 3000. Gli organizzatori pensarono di effettuare i funerali nella Chiesa della Trinità, molto più ampia e situata al termine della strada d'Antin, non lontana dall'abitazione d'inverno del Maestro. Tuttavia, per evitare un eccessivo affollamento di persone, che avrebbe reso quella cerimonia quasi impossibile, fu necessario prendere quest'ultima misura: le tessere erano munite di un timbro con le parole:”Obsèques de Rossini”. Intanto si pensò a preparare la parte musicale del servizio religioso. Tutti gli artisti presenti in Parigi offrirono il loro concorso. A tale scopo fu istituito un apposito comitato , sotto la presidenza di Auber. (Testimonianze varie)


1868, 17 novembre. Carissimo Ricordi, Ad onorare la memoria di Rossini vorrei che i più distinti maestri italiani ( Mercadante a capo, fosse anche per poche battute) componessero una MESSA DA REQUIEM da eseguirsi all'anniversario della sua morte. Vorrei che non solo i compositori, ma tutti gli artisti esecutori, oltre il prestare l'opera loro, offrissero altresì l'obolo per pagare le spese occorrenti. Vorrei che nissuna mano straniera, né estranea all'arte, e fosse pur potente quanto si voglia, ci porgesse aiuto. In questo caso io mi ritirerei subito dall'associazione.
La messa dovrebbe essere eseguita nel S. Petronio della città di Bologna che fu la vera patria musicale di Rossini.
Questa messa non dovrebbe essere oggetto né di curiosità, né di speculazione; ma, appena eseguita, dovrebbe essere suggellata, e posta negli archivi del Liceo musicale di quella città, da cui non dovrebbe essere levata giammai. Forse potrebbe esser fatta eccezione per gli anniversari di Lui, quando i posteri credessero di celebrarli.
Se io fossi nelle buone grazie del Santo Padre, lo pregherei a voler permettere, almeno per questa sola volta, che le donne prendessero parte all'esecuzione di questa musica, ma non essendolo, converrà trovare persona più di me idonea ad ottenere l'intento.
Sarà bene istituire una Commissione di uomini intelligenti onde regolare l'andamento di questa esecuzione, e soprattutto per scegliere i compositori, fare la distribuzione dei pezzi, e vegliare sulla forma generale del lavoro.
Questa composizione (per quanto ne possano essere buoni i singoli pezzi) mancherà necessariamente d'unità musicale; ma se difetterà da questo lato, varrà nonostante a dimostrare, come in tutti noi sia grande la venerazione per quell'uomo, di cui tutto il mondo piange ora la perdita.
Addio e credimi. Aff.mo G. Verdi. ( Lettera di Verdi a Ricordi, Sant'Agata)


Il venerdì sera ( 20 novembre) i resti del Rossini furono trasportati dalla cappella sotterranea della Chiesa della Maddalena a quella della Trinità, ove due religiose rimasero in preghiera preso la bara tutta la notte. La cerimonia del domani (21 novembre) riuscì grandiosa, imponente, degna in tuttto dell'immortale compositore, a cui Parigi e la grande famiglia degli artisti vollero dare il loro supremo addio. Il Maestro aveva desiderato che i suoi funerali fossero modesti, e a tale scopo nel testamento aveva disposto che “ fosse impiegata la somma di 2000 lire al più”. La sua volontà fu rispettata, ma l'intervento di tutte le più insigni notabilità artistiche, politiche e letterarie di Parigi e di una folla immensa di popolo conferì a quelle onoranze funebri una tale solennità, quale nessuno sfarzo di apparati avrebbe potuto dare. (Testimonianze varie)


Terminata la cerimonia religiosa, il 21 novembre, il carro funebre si mosse verso il cimitero per la sepoltura. Su tutta la lunga via dalla Trinità al cimitero del Père Lachaise, la popolazione faceva ala; le finestre ad onta del rovaio (vento di tramontana, ndr), erano affollatissime e innumerevole calca seguiva le spoglie del rimpianto compositore. Al cimitero furono pronunciati molti discorsi prima della sepoltura. Poi la calca, snodandosi a gradi, si è dispersa lentamente, mestamente. Rossini è, solo, rimasto nel funereo recinto; egli riposa là, non lungi da Cherubini, Hérold, Boieldieu, Chopin e soprattutto dal suo amato Bellini, che fu a Rossini quel che Raffaello fu a Michelangelo. (Gazzetta Musicale di Milano, 1868)


1868, 21 novembre. Il feretro fu provvisoriamente deposto nella tomba della famiglia dei conti Pepoli ed ivi rimase per un anno; il 10 novembre 1869, in presenza di alcuni amici del defunto, fu trasportato in una sepoltura a parte. Nel gran viale del Père Lachaise, che fa riscontro con l'entrata principale, si vedeva una cappella in marmo bianco, sul cui frontone era scritta in lettere dorate questa sola parola: ROSSINI. ( Revue et Gazette musicale di Parigi, n.46 1869)


Tutta la giornata del 21 novembre fu dai Parigini dedicata ad onorare la memoria del grande Maestro. La sera si eseguì al Teatro Italiano lo Stabat. Al levarsi del sipario apparve sulla scena il busto di Rossini coronato; attorno ad esso si schierava il coro e ai lati stavano i quattro principali interpreti della composizione. Alla fine della prima parte gli artisti andarono a deporre corone abbrunate a piè del busto. Una cerimonia consimile ebbe luogo la stessa sera al Teatro Lirico, dove, oltre al Barbiere, furono eseguite altre composizioni rossiniane e, alla fine dello spettacolo, il sig. Manjauze declamò alcune Stances à Rossini. Anche il Teatro dell'Opéra aveva annunziata per quella sera una rappresentazione del Guglielmo Tell, ma, per indisposizione di alcuni artisti, dovette rimandarla al 28 dello stesso mese di novembre. (Giornali, Parigi)
A Pesaro, il sindaco Alessandro Gallucci, con un manifesto fatto affiggere il giorno prima, proclamava, per il giorno dei funerali, il lutto cittadino. Successivamente, su proposta del Ministro della Pubblica Istruzione, comm. Broglio, il Governo italiano deliberò che la mattina del 14 dicembre si celebrassero a spese dello Stato solenni funerali nel tempio di Santa Croce in Firenze e che si promovesse una sottoscrizione nazionale allo scopo di erigere nello stesso tempio un monumento funebre al sommo compositore. Venne eseguita la Messa da requiem di Mozart. Contemporaneamente, dal più insigne dei compositori italiani viventi partì la proposta di onorare la memoria dell'illustre estinto con un monumento musicale costruito in collaborazione da cultori dell'arte medesima, che rese celebre il nome di lui. Giuseppe Verdi espose la sua idea in una lettera, datata 17 novembre 1868, inviata all'editore Ricordi. (Testimonianze varie)


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Testamento e Codicilli

"Questo è il mio testamento. In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
Nella certezza di dover abbandonare questa vita mortale, io mi sono determinato a fare le ultime mie disposizioni.
Alla mia morte sarà impiegata la somma di due mila lire al più per i miei funerali; il mio corpo sarà seppellito dove stimerà conveniente mia moglie.
A titolo di legato, e per una volta tanto, lascio a mio zio materno Francesco Maria Guidarini, dimorante a Pesaro, sei mila franchi; a Maria Mazzotti mia zia materna dimorante a Bologna, cinque mila franchi; ed a' miei due cugini dimoranti a Pesaro, Antonio e Giuseppe Gorini, due mila franchi a ciascuno. Questi legati sono la mia sola ed unica volontà e saranno pagati subito dopo la mia morte, se vi sarà il denaro disponibile; nel caso contrario i miei esecutori testamentari prenderanno il tempo necessario corrispondendo l'interesse del 5 per cento. Se i predetti legatarii mi fossero premorti, le somme legate passeranno ai loro figli maschi e femmine in parti uguali.
Alla mia amatissima moglie Olimpia Descuilliers che fu un'affettuosa e fedele compagna e della quale ogni elogio sarebbe inferiore al merito, lego in tutta proprietà tutti i mobili di casa, biancherie, tappezzerie, drappi, porcellane, vasi; tutti i miei autografi di musica, carrozze, cavalli, tutti gli oggetti di scuderia, di selleria, di cantina; rami, bronzi, quadri e quant'altro finalmente si trovasse in mia casa, sia di città, sia di campagna; eccettuando solamente gli oggetti che sto per dire qui sotto. Dichiaro inoltre essere l'esclusiva proprietà della mia moglie tutte le argenterie, come voglio che si riconosca per sua proprietà qualunque oggetto che dichiarasse appartenerle, quantunque esso si trovasse nella mia camera o ne' miei effetti.
Le scatole, gli anelli, le catene, le spille, le armi, le mazze, le pipe, le medaglie, gli orologi, escluso però un piccolo orologio della fabbrica Breguet, che è di mia moglie; una piccola battaglia in argento di Benvenuto Cellini, inquadrata in oro ed avorio, un altro oggetto in argento,basso rilievo, i miei violini, ottavino, oboè, siringa in avorio, necessaires di toilette, disegni ed albums saranno venduti privatamente o per mezzo d'asta pubblica come meglio giudicheranno i miei esecutori testamentari, ed il denaro che si ricaverà da questa vendita sarà messo a profitto in aumento della eredità.
Lascio piena ed intera facoltà a mia moglie di scegliere ed optare fra le mie proprietà fondiarie o miei valori mobili quella o quelli che saranno maggiormente a lei convenienti in restituzione della dote che mi fu costituita al momento del matrimonio. Di tutti gli altri beni, effetti e sostanze nomino ed istituisco come erede usufruttuaria la mia carissima ed amatissima moglie, vita natural durante.
Quale erede della proprietà nomino il comune di Pesaro, mia patria, per fondare e dotare un Liceo Musicale in quella città dopo la morte di mia moglie. Proibisco alla magistratura od ai rappresentanti comunali della detta città ogni specie di controllo o d'intervenzione nella mia eredità, volendo che mia moglie ne goda in tutta ed assoluta libertà, e non volendo nemmeno ch'essa dia una cauzione o sia obbligata a fare un impiego speciale dei beni che lascerò dopo di me e dei quali le lego l' usufrutto.
Nomino per miei esecutori testamentari, in Italia, il Marchese Carlo Bevilacqua ed il Cav. Marco Minghetti di Bologna, dove abitano, dando loro la più grande facoltà e pregandoli di accettare i pesi che la mia scelta impone, dandomi questa prova ulteriore di benevolenza e amicizia. Nomino di più per i miei esecutori testamentari, in Francia, il Sig. Vincenzo Buttarini dimorante Rue Basse du Rempart, 30, ed il Sig. Aubry, Boul. des Italiens, 27, pregandoli di volere aggradire a titolo di memoria oncie 100 di argento per ciascuno da consegnarsi nello spazio di un anno a datare dal giorno della mia morte.
Voglio che dopo la mia morte e quella di mia moglie sia fondato a perpetuità a Parigi, ed esclusivamente per i Francesi, due premi di tremila franchi ciascuno per essere distribuiti annualmente, uno all'autore d'una composizione di musica religiosa o lirica che dovrà distinguersi principalmente per la melodia, tanto adesso negletta; l'altro all'autore delle parole (prosa o verso) sulle quali devono applicarsi la musica ed esservi perfettamente appropriata, osservando le leggi della morale, della quale gli scrittori non tengono sempre abbastanza conto. Queste produzioni saranno sottoposte all'esame d'una commissione speciale presa nell'Accademia delle belle arti dell'Istituto, la quale giudicherà chi avrà meritato il premio detto ROSSINI, che sarà accordato in pubblica seduta dopo l'esecuzione della composizione, sia nel locale dell'Istituto, sia nel Conservatorio.
I miei esecutori testamentari dovranno ottenere dal ministero l'autorizzazione d'immobilizzare al 3 per cento un capitale necessario per costruire una rendita annuale di sei mila franchi. Ho desiderato di lasciare alla Francia, dalla quale ebbi una cosi benevola accoglienza, questa testimonianza della mia gratitudine e del desiderio di veder perfezionata un' arte alla quale ho consacrata la mia vita.
Lascio in elemosina allo Stabilimento di ricovero e dei derelitti a Bologna venti scudi una volta tanto, ed altrettanto al Monte di Pietà
Lascio al mio cameriere Antonio Scanavini che mi servì con esattezza e fedeltà la somma mensile di lire cinquanta, sua vita durante, e tutto il mio vecchio vestiario. Mi riservo il diritto di fare aggiunte e modificazioni al presente testamento ed intendo che siano eseguite letteralmente, e siano eseguite letteralmente, e siano osservate come se fossero scritte nel presente atto. Annullo ogni altro testamento".
Fatto, scritto e sottoscritto di mia mano quest'oggi.
Parigi, 5 luglio 1858.
Sottoscritto: GIOACCHINO ANTONIO ROSSINI

Codicillo al suddetto

"Questo è il mio codicillo. Aggiungo ciò che segue alle disposizioni che ho già fatte in favore della mia cara moglie, col mio testamento. Io le trasmetto e lego tutti i miei diritti ed azioni sulla proprietà di Passy, risultanti dal nostro contratto con la Città di Parigi: in conseguenza tutto ciò che può e potrà venire sì a me che a quelli che succederanno ne' miei diritti a qualunque titolo in seguito degli acquisti di usufrutto, costruzioni, lavori, e qualsivoglia causa, e qualsivoglia titolo che possa essere, apparterrà a mia moglie in tutta proprietà; e se anche durante la nostra vita avessimo fatto alla Città dio Parigi retrocessione del nostro usufrutto in virtù delle disposizioni del contratto, mia moglie preleverà sulla mia successione il prezzo che ne avrò ricevuto. Annullo le disposizioni che ho fatto a favore di Antonio Scanavini, mio Cameriere, le quali saranno senza effetto".
Parigi, 4 febbraio 1860.
Gioacchino Antonio Rossini


Altri codicilli al suddetto

"Nel mio Bureau Montmorency a Parigi esiste un gran portafoglio in pelle nera contenente tutti gli impegni e le scadenze semestrali con la Cassa dei lavori di Parigi; ivi si trovano pure tutti i titoli dei miei crediti e degli immobili in Italia, ed infine il mio testamento.
Nell'armadio a specchi della mia camera a letto di Parigi esiste un gran libro in cui sono registrati tutti i miei crediti formati a Parigi, e le scadenze dei frutti relativi; esistono pure nello stesso armadio lettere e ricevute importanti.
Nel citato portafoglio di pelle nera si trova lo stato, in carta bleu, di mano del mio agente Gaetano Fabi (Bologna), nel quale si vede quali sono i crediti rimborsati gli esistenti: dalle lettere del mio mandatario Angelo Mignani ( Bologna) si scorge quindi quali sono i ritardatari ed il perché! I conti delle somme ritirate e delle spese trimestrali di Gaetano Fabi compiono l'opera
Il Sig. Possoz è a giorno di tutto ciò che si riferisce alla Cassa dei lavori di Parigi.
Il Sig. Bigottini è pure al corrente delle mie obbligazioni sulle strade di ferro Orleans e Lione (fusione).
Il Sig. Pillet-Will è pure giorno di tutto ciò che concerne il debito pubblico del 3 e del 4 ½ poiché egli possiede i titoli che mi appartengono.
Amo pure richiamare che nel gran libro sopraricordato, e che si trova nell'armadio a specchio della mia camera da letto in Parigi, è fatta creazione della dote di mia moglie Olimpia, ricevuta a Bologna e che, inoltre, ho scritto di mia mano quanto segue.
Io dichiaro con queste linee (come se fosse per atto notarile) di donare tutte le mie composizioni musicali inedite, tanto vocali che istrumentali, congiuntamente a tutti i miei autografi, all'amatissima mia moglie Olimpia in segno di affezione e di gratitudine. Dopo la mia morte essa potrà farne l'uso che meglio le converrà.
Che questo sia in codicillo".
Parigi,15 giugno 1865
Gioacchino Rossini

"Che si ritenga ciò che segue come un codicillo del mio testamento.
Io voglio che dopo la mia morte il Comune di Pesaro (intendendosi con mia moglie Olimpia) prenda possesso de' miei immobili e capitali impiegati in Italia, alienandoli, se lo creda utile, e rinvestendoli nella sua Provincia, pagandone, ben inteso, alla predetta mia moglie Olimpia, vita sua natural durante, il frutto in ragione del cinque per cento: mia moglie non avrà così alcun imbarazzo di amministrazione, ed il Comune di Pesaro entrerà nel possesso di una parte del patrimonio che gli ho conferito con mio testamento.
Io spero trovare in tutto ciò piena adesione".
Parigi,1 gennaio 1866
Gioacchino Rossini

"Se le cose sopradette avranno effetto, desidero che la mia buona Olimpia faccia un regalo a' miei Impiegati ( che saranno esonerati dalla gestione de' miei affari), G. Fabi ed A. Mignani".
G. Rossini

"Raccomandazione importantissima che io faccio a mia moglie Olimpia:
Riunendo i pochi autografi rimastimi delle mie opere, è stato a me impossibile ritrovare quello dell'opera Otello da me composto in Napoli. - Questo autografo è stato semplicemente smarrito? Ovvero è stato rubato in mia casa? Se si arriva a scoprirne il detentore intendo che gli si faccia un processo, mentre giuro e dichiaro non averlo mai dato ad alcuno, né di averlo venduto. - Che se ne scuopra il ladro e lo si punisca".
Parigi 31 decembre 1867
G. Rossini
(Il testamento fu aperto il 18 novembre 1868)

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1878. La vedova Rossini sopravvisse dieci anni al marito, morta anch'ella nella villa di Passy, dopo sei mesi di sofferenze, il 22 marzo 1878, tutti i legati del testatore poterono mettersi in esecuzione. Il primo e più importante fu l'apertura del Liceo musicale di Pesaro. (Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927)


1881-1892. Il Consiglio comunale nella seduta del 28 marzo 1881 ne deliberò l'istituzione. Il 16 febbraio 1882 veniva nominato direttore il maestro Carlo Pedrotti. Vennero adattati ad uso di scuola i locali del già Convento dei Filippini in via Petrucci. Il 5 novembre 1882 il Liceo Musicale di Pesaro venne inaugurato. Il 31 luglio 1892 venne inaugurata la nuova sede nel magnifico Palazzo Macchirelli, situato nel centro della città, ricco di pitture, stucchi, marmi e mobili preziosi.(Documenti Comune e Liceo musicale di Pesaro)


1883-1889. Un altro istituto di beneficenza fu fondato col patrimonio Rossini. Prima di morire, il Maestro aveva espresso alla moglie il desiderio che ella avesse per testamento disposto di una parte della loro fortuna per fondare e mantenere a Parigi un asilo per cantanti dei due sessi, francesi e italiani (vissuti in Francia) inabili al lavoro. Il suo voto fu adempiuto. La signora Olimpia, unendo gli interessi della proprietà del marito con la sua personale possidenza, potè lasciare all'Assistenza pubblica di Parigi un capitale di circa 200.000 franchi di rendita, che, aumentato coi frutti di altri cinque anni, permise di metter mano alla fondazione del desiderato asilo. Sorse così la Maison de retraite Rossini, che il popolo parigino suole chiamare Villa Rossini. Si scelse un terreno nelle vicinanze di Passy e del Bois de Boulogne, in memoria della particolare affezione che il Maestro portava a quei luoghi. I lavori di costruzione iniziarono nel 1883, e nel gennaio 1889 il ricovero era pronto per l'apertura. (Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927)


Rossini, per testamento, aveva lasciato facoltà alla moglie di dargli sepoltura dove a lei piacesse. E Lei avrebbe voluto che non fosse tolto dal Père-Lachaise. Ma due città italiane le rivolgevano viva preghiera di cedere loro la custodia delle preziosa spoglia: Pesaro e Firenze. Pesaro sua città natale; Firenze, che desiderava collocarla accanto a quelle di Michelangelo, Machiavelli, Alfieri nel Pantheon del genio italiano.
La sig.ra Olimpia acconsentì alla traslazione della salma in Italia, ma a condizione di poter riposare anch'ella, quando sarebbe giunta l'ultima sua ora, vicino al marito....
Senonchè, il governo italiano non credette dignitoso, e per la gloria di Rossini, e per il decoro d'Italia, di accettare una tale proposta e per qualche tempo le trattative furono sospese.(Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927-29)


1878. Alla morte della sig.ra Rossini, tre mesi dopo, per iniziativa del prof. Riccardo Gandolfi, si costituì in Firenze un comitato allo scopo di tributare solenni onoranze al sommo Pesarese in occasione dell'arrivo della sua salma. Giuseppe Verdi venne nominato presidente onorario del comitato. Ma Giuseppe Verdi avutane notizia , rifiutò.


1878, 16 giugno. Egregio sig. Casamorata, Ammiro Rossini anch'io al par d'ogni altro, ed alla sua morte intesi dimostrarlo, proponendo a diversi maestri di comporre una Messa da Requiem da eseguirsi al primo anniversario della sua morte. Quel progetto non si è potuto disgraziatamente realizzare, non per colpa dei maestri destinati a comporre, ma per incuria o malvolere di altri. Ora domando io, a che gioverebbe che io fossi Presidente, o vice, od Onorario ecc? Oltre ad essere in questo momento ingolfato in una farragine di affari, completamente estranei alla musica, trovo che il posto di Presidente effettivo ed Onorario è da lei egregiamente rappresentato, né fa mestieri di pensare ad altri. Gli è perciò che sarei ben lieto, ch'Ella volesse, dirò così, di buona voglia accettare le mie scuse ed esonerarmi da questo onore.
Con Lei so che è inutile pregare perché questa lettera non sia resa di pubblica ragione, ma valgano di scusa il fatto che altre volte per consimili occasioni, e proprio in Firenze, fu pubblicata un'altra mia, alterandola e facendovi commenti che non erano né seri né convenienti. Rinnovandole le mie scuse, mi dico colla più profonda stima. Dev.mo G. Verdi. (Lettera di Giuseppe Verdi a Casamorata, Presidente del Comitato per le solenni onoranze a Rossini, in occasione della traslazione della sua salma da Parigi a Firenze.)


1886. Il 4 dicembre, il deputato marchigiano Filippo Mariotti, salito alla direzione generale del Ministero della P. Istruzione, presentò al Parlamento una proposta di legge relativa alla traslazione della salma di Rossini da Parigi a Firenze ed alla sua sepoltura in Santa Croce. Nella lettera di presentazione della proposta di legge si leggeva: “ Gioacchino Rossini che è il Dante nella poesia dei suoni, giacerà nello stesso tempio con Machiavelli, con Michelangelo, con Galileo e con Vittorio Alfieri; e così saranno cinque a rappresentare la perfezione nella sapienza, nell'amore della patria e nell'arte italiana”. La camera dei Deputati ed il Senato accolsero all'unanimità la proposta dell'on. Mariotti. che divenne legge il 26 dicembre dell'anno medesimo .(Atti parlamentari)


1887, 30 aprile. Alle dieci antimeridiane ebbe inizio l'esumazione, ricognizione in previsione della consegna della salma di Rossini alle autorità italiane. Tratto il feretro dal sepolcro, se ne incise il coperchio e si alzò con precauzione. In quel momento tutti furono presi da una indicibile emozione. Sopra il funebre lenzuolo si trovava una coroncina di lauri ancora verdeggianti; alzato il velo che copriva il viso del Maestro, tutti esclamarono ad una voce: “ E' lui, tale e quale. Pare che dorma!” Dopo diciotto anni l'imbalsamazione fatta dall'italiano Falcioni, era riuscita a meraviglia. E intanto il feretro venne collocato nella tomba provvisoria, dove rimase fino al mattino del giorno seguente, quando venne trasportato alla stazione, dove lo attendeva il vagone, riccamente addobbato, che doveva potarlo in Italia. Partito da Parigi il 1 maggio, alle 11 antimeridiane, la salma giunse a Torino la mattina del giorno seguente, ricevuta con commoventi accoglienze. Gli stessi onori si rinnovarono alle stazioni di Genova e di Pisa. Finalmente alle nove pomeridiane del medesimo 2 maggio il convoglio entrava nel recinto della stazione di Firenze. Il feretro fu deposto in una sala della stazione, trasformata in camera ardente e vegliata dai maestri fiorentini e dai componenti il Comitato per le onoranze, fino alle due pomeridiane del giorno successivo (3 maggio), ora del trasporto in santa Croce. (Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927)


1887, 3 maggio. Dopo i discorsi commemorativi, il feretro fu trasportato dai pompieri e collocato in uno splendido carro, tirato da sei cavalli e decorato con molto buon gusto sotto la direzione dei pittori Barabino e Morini. Si mosse allora il corteo, aperto da un plotone di carabinieri a cavallo, un corteo imponente, composto di 6000 persone circa e nel quale erano rappresentate più di cento associazioni.. Quando
giunse in piazza Santa Maria Novella, mentre il corteo sfilava, quattro bande militari suonavano la sinfonia dell'Assedio di Corinto; in via Cavour fu scoperta una lapide commemorativa posta sulla facciata della casa da lui acquistata nel 1853. Quando il convoglio giunse in piazza Santa Croce, erano poco più delle cinque. Tutte le finestre delle case e dei palazzi circostanti erano ornate di tappeti e di arazi dai colori smaglianti e popolate di teste; grappoli umani pendevano da tutte le inferriate, da uttti i lampioni, da tutte le sporgenze.
La folla, inebriata, non volle abbandonare la piazza e la chiesa, se non quando i resti del divino Maestro furono tumulati nel tempio sacro al genio ed alla grandezza d'Italia. (Giuseppe Radiciotti, Gioacchino Rossini, Tivoli 1927-29)


1902, 13 giugno. Quindici anni dopo veniva inaugurato in Santa Croce il monumento sepolcrale, opera dello scultore G. Cassioli. La cerimonia incominciò nello stupendo refettorio del chiostro con una commemorazione... Al momento di togliere il velo che celava il monumento, l'Orchestra del Liceo musicale di Pesaro, diretta da Pietro Mascagni, eseguì, con trenta violini, la Preghiera del Mosè, trascritta sulla quarta corda da Paganini.



                                                             FINE





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