giovedì 5 aprile 2018

Dobbiamo batterci per tutelare la stampa dalle querele intimidatorie. Il cammino è ancora lungo

Gian Antonio Stella nella sua rubrica 'Mano libera' dell'ultimo  numero di 'Sette', il settimanale allegato al Corriere della Sera e diretto da Beppe Severgnini, torna a parlare  di una caso di querela contro un giornalista che aveva  denunciato cose non proprio legali verificatesi   in un concorso universitario. Giampaolo Cerri, questo il nome del giornalista, nel 2011 aveva denunciato  Flaminia Saccà, candidata ad un posto di professore all'Università della Tuscia, che aveva presentato studi  nei quali la tecnica, vecchia quanto il mondo, del 'copia e incolla' era evidentissima - come aveva denunciato uno dei membri della commissione esaminatrice.  La candidata era ben nota nel mondo universitario, anche perchè 'responsabile  università dei DS', veste nella quale aveva ella stessa denunciato che : "bisogna dar vita a una battaglia culturale contro tutte le forme di sfruttamento, malcostume ed opacità che tuttora esistono nel mondo accademico".   Tutte le forme di sfruttamento, malcostume opacità, eccetto il suo caso.

Per  Giampaolo Cerri che ne aveva scritto su 'Italia oggi'   fu facile  mettere in piazza  l'imbroglio della Saccà, anche perchè dell'Università della Tuscia, che aveva bandito il concorso, il rettore  era Marco Mancini, 'convivente' della Saccà.

Passano gli anni - sette, che per la giustizia italiana sono la norma - e Cerri viene assolto con una motivazione che ce ne ricorda una simile, e cioè che la notizia del plagio era stata diffusa da Cerri: " nell'esercizio legittimo del diritto di cronaca e insieme di critica, ossia adempiendo alla funzione sociale dell'attività giornalistica".

 Gian Antonio Stella, domandandosi perché mai, avendo vinto la causa, Cerri debba pagarsi le spese che ha dovuto sostenere per farsi difendere in tribunale, torna su un vecchio tema, sul quale un  noto avvocato milanese che si occupa spesso di stampa, Caterina Malavenda, aveva scritto sul 'Corriere'. E cioè che  spesso certe querele sono solo 'intimidatorie', perché per i cronisti meno tutelati, 'affrontare un processo è un incubo' e  subire una causa ingiustamente è 'insopportabile'.  E aveva proposto un  rimedio.

Basterebbe, scriveva l'avv. Malavenda: "imporre al querelante che perde di pagare le spese processuali sostenute dall'imputato assolto con qualunque formula e di risarcire adeguatamente il danno arrecatogli per  averlo fatto processare ingiustamente rendere obbligatoria la condanna al risarcimento in sede civile, nei confronti di chi ha agito con colpa grave p, peggio, con dolo: porre a a carico di chi inizia una causa civile una sorta di cauzione, una somma di denaro, proporzionale al danno  richiesto, che garantisca il pagamento dell spese all'avversario se vince e che adesso si tenta inutilmente di recuperare".

 Si sa che alcune querele di potenti  contro i giornalisti vengono fatte per metterli a tacere,  intimidendoli  con la richiesta di risarcimenti  enormi, ai quali difficilmente i giornalisti possono dar corso.

Il caso di Giampaolo Cerri ci ha fatto venire in mente  una querela che noi ricevemmo, nel 2007, da Michele Dall'Ongaro ( ne abbiamo scritto altre volte su questo blog) il quale si ritenne diffamato da un nostro articolo uscito su Music@ - nel quale dimostrammo come, a nostro parere, avesse profittato  del ruolo goduto in Rai ( responsabile della musica a Radio 3), a suo favore. Anche noi vincemmo la causa, dopo sette anni circa, nel 2013, e fummo assolti con formula piena perché avevamo esercitato, secondo il tribunale dell'Aquila ( dove si pubblicava Music@) il nostro diritto di cronaca e  di critica, nei modi consentiti.  Con l'aggravante, nel nostro caso, che Dall'Ongaro, nel corso del processo tentò in tutti i modi di danneggiarci e noi dovemmo difenderci in tribunale e fuori.

 Dall'Ongaro chiedeva 150.000 Euro per danni . E' ben noto come le cause di diffamazione i querelanti preferiscono istruirle in sede civile, perchè la richiesta dei danni in solido è un elemento in più per spaventare il giornalista e dissuaderlo dall'intraprendere azioni simili in seguito.

Dall'Ongaro ha perso la causa, ci ha danneggiati in vario modo nel corso del procedimento - specificamente per alcune collaborazioni che noi avevamo all'epoca con la Rai - ma lui,  non  ha dovuto tirare fuori dalla tasca neanche 1 Euro per risarcirci del danno recatoci. Se fosse entrato in vigore ciò che la Malavenda semplicemente auspica a difesa del giornalista, forse il risarcimento  sarebbe toccato a noi e lui forse non averebbe neanche iniziato la causa, ben sapendo che  quanto avevamo scritto, dalla prima all'ultima sillaba, corrispondeva a realtà. E cioè che, senza quell' incarico in Rai, starebbe ancora a fare il compositorino di belle speranze. Altro che presidente, sovrintendente e direttore artistico dell'Accademia di Santa Cecilia, osannato ed anche ben retribuito.

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