venerdì 8 dicembre 2017

Qualche lezioncina a quelli de 'Il Fatto Quotidiano' andrebbe data, in fatto di musica

 Ieri 'Il Fatto Quotidiano' ha pubblicato un resoconto poco musicale, e molto bancaria, della 'prima' alla Scala, firmato da due  'pezzi da novanta' del giornale: Gianni Barbacetto e Nanni Delbecchi. Liquidato in poche righe l'esito della serata, con qualche imprecisione - che la diretta tv avrebbe volutamente occultato al pubblico televisivo ma non a quello del teatro e soprattutto ai due acuti osservatore del' Fatto', come i 'fischi' al tenore (ma quando?) a fine spettacolo - i due giornalisti  si sono buttati a peso morto sulla politica assente, sull'entrata da un ingresso segreto e protetto della sottosegretaria Boschi, accompagnata dal fratello ecc... ( il titolo dell'articolo era ' Maria Elena e il caveau della Scala') che al lettore che voleva conoscere le impressioni  sui due della prima scaligera, non interessavano neanche un pò.

Verso la fine del resoconto, un paio di righe che ci spingono a richiedere per loro qualche lezioncina privata di musica, magari impartita, gratuitamente, da Paolo Isotta.

 A proposito della durata dello Chénier, assolutamente nella norma, i due hanno scritto: " Due ore e mezzo in tutto, una passeggiata rispetto alle tetralogie".

Ora  non esistono 'tetralogie', date  di seguito nella medesima serata (giornata), dalla prima all'ultima opera, quattro - che non sono uno scherzo; e perciò con detta durata  non si può misurare nessuna altra opera, perchè vi sarebbe sproporzione enorme fra una e quattro opere,  ammesso che possano considerarsi nel loro complesso.
La durata dello Chenier, come anche della maggior parte delle opere del melodramma ottocentesco  è, certo, inferiore alle singole opere che compongono la celebre silloge wagneriana, ma non al punto da far considerare  quelle wagneriane, 'infinite' per la durata . Perciò se per loro lo Chenier è stata una passeggiata,  stiano tranquilli che sarà sempre così - benchè nessuna opera sia mai una passeggiata - perchè a  loro come al pubblico di qualunque teatro al mondo  non saranno mai fatti ascoltare i quattro titoli della Tetralogia wagneriana. Che, a scanso di equivoci, sono quattro e non tre, come  aveva letto il greco 'tetralogia'- confondendolo ovviamente con 'trilogia' il colto Gianpaolo Cresci, parlando alla radio in occasione della rappresentazione di una di quelle opere al teatro della Capitale, di cui era all'epoca  malcapitato sovrintendente.

 Paolo Isotta potrebbe spiegare ai suoi colleghi come si compone la teatralogia wagneriana, quanto dura e soprattutto cosa rappresenta nella storia della civiltà occidentale, non solo musicale.  E Barbacetto e Delbecchi potrebbero profittarne. 

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