venerdì 26 maggio 2017

L'Italia è una Repubblica seduta sui TAR, a rischio esplosione

Avete presente la situazione di Napoli e dei suoi cittadini, da tempo seduti sul Vesuvio che è sempre a rischio esplosione? Quella dell'Italia, della nostra Repubblica, non è tanto dissimile, giacchè sta seduta sui TAR che ogni giorno mettono in croce qualunque governo decisionista, rallentano ogni cambiamento, mandano all'aria ogni riforma. L'ha detto anche Renzi, sempre più ringalluzzito, dopo la notizia che il TAR del Lazio aveva annullato la nomina di cinque dei venti direttori di Musei che Franceschini aveva nominato:' abbiamo fatto tante riforme, alcune altre le avremmo voluto fare ma ce le hanno bocciato, ma l'unica riforma alla quale non abbiamo pensato e che doveva essere fra le prime ad essere proposte, era la riforma del TAR.

Due degli esclusi da quelle nomine hanno fatto ricorso al TAR ed il Tribunale amministrativo del Lazio, fra i più attivi ed anche discussi, l'ha accolto, annullando la nomina dei cinque direttori, sentenza subito esecutiva che ha comportato la decadenza dei cinque direttori contestati, uno dei quali era straniero, messi a capo di musei che proprio nell'anno di loro direzione hanno aumentato gli introiti per ingressi.

Le ragioni addotte dal TAR nella sua sentenza è che la prova orale dei candidati è stata fatta a porte chiuse, dunque illegale (Paolo Baratta, l'esimio presidente della giuria internazionale, quel giorno dove stava? Non conosce le regole per i concorsi pubblici?), ed anche perchè - ma questo riguarda solo un caso quello del direttore straniero: europeo sia chiaro - per gli incarichi di dirigenti pubblici in Italia, secondo la legge, non possono parteciparvi cittadini non italiani. E se fossero europei? L'Europa non esiste, sembra affermare il TAR contro ogni evidenza. La risposta piccata dei giudici del TAR del Lazio non s'è fatta attendere: non date la colpa a noi, cambiate le leggi che noi siamo tenuti solo ad osservare, non c'è bisogno di cambiare il TAR.

Franceschini, che alla figura tiene più che alla sostanza, ha subito tuonato: ricorrerò al Consiglio di Stato - un altro di quei tribunali che assieme al TAR, fa il gioco delle parti in un paese in cui tre gradi di giudizio - ingiusto, tante volte  ammettiamolo!-  non bastano, ce ne vogliono altri due e forse anche tre o quattro ancora. Intanto quei cinque Musei in attesa del parare del Consiglio di Stato che Franceschini spera favorevole, sono rimasti senza direttori. Grasso, presidente del Senato che la riforma renziana voleva abolire o rendere quasi innocuo legislativamente, alla prima occasione di legge fatta 'con i piedi' dalla Camera dei Deputati. ha sottolineato che se non c'era il Senato avremmo dovuto tenerci quella legge mal fatta. Ma non ha detto che il Parlamento le leggi deve farle non a dispetto del diritto e dei cittadini,  ma come si conviene, ed ha difeso il Senato, la 'seconda' camera,  nella sua  funzione di 'balia' dei parlamentari ignoranti ed inadempienti della 'prima'.

Due riflessioni a margine di tale nuovo casino istituzionale. Nel nostro paese nessuno si fida  della magistratura e tanto meno dei governi, l'una e l'altro non ancora vaccinati contro imbrogli, inciuci, particolarismi e favoritismi di cui storia e cronaca sono pieni al punto che  si  potrebbero riempire milioni di pagine di 'tragica' e 'comica' insieme storia patria.

La nomina dei venti direttori, ad esempio. Per la gran parte risultarono vincitori italiani, sette o giù di lì stranieri d'Europa, e uno soltanto confermato, la direttrice della Galleria Borghese, Anna Coliva, sulla cui riconferma piovvero subito critiche anche giustificate: la signora, sicuramente brava direttrice come altri,  ma, a differenza degli altri, frequentatrice assidua dei salotti del potere romano, lei sola e nessun altro,  doveva aver convinto Franceschini ed anche Baratta che doveva restare. A pensar male non sempre si sbaglia. E, del resto, anche la Coliva aveva fatto qualche sbaglio clamoroso, come quando per dare il benvenuto ai 'Mecenati della Galleria Borghese', capeggiati da Maite Bulgari, aveva fatto impiantare all'esterno della Galleria, ma sicuramente  non a distanza di sicurezza, un catering con cucina annessa, sul quale erano piovute tante critiche. Ma quelle critiche  furono subito messe a tacere, per la stessa ragione per cui la Coliva  aveva convinto il ministro ed il presidente della commissione giudicatrice, attraverso la fitta rete di relazioni, costruita nel tempo con tenacia e scrupolo, pronta a proteggerla da ogni possibile attacco.

E poi Franceschini stesso dovrebbe sapere come alcune commissioni centrali del suo Ministero sono state elette in barba ai requisiti  professionali dei candidati, fra i quali s'erano preferiti quelli più ossequienti (ne abbiamo scritto all'epoca, specie per la Commissione centrale Musica, ma il discorso vale anche per le altre). Dunque Franceschini, al di là della figuraccia da lui fortemente temuta, dovrebbe prima dar prova della totale legalità  e correttezza di ogni sua decisione. Ma forse questa non può assicurarla a quei pochi cittadini che fossero d'accordo, eventualmente, con la decisione del TAR.

E c'è poi la questione 'europea', sulla quale anche s'è espresso il TAR: i cittadini non italiani, per la nostra legge, non possono partecipare a concorsi pubblici per incarichi di dirigenza; mentre cittadini italiano possono partecipare ad analoghi concorsi in altri paesi d'Europa, dove  per la direzione di importanti istituzioni pubbliche sono stati assunti anche cittadini italiani o stranieri per il paese interessato.
 Franceschini tuona: ci accuseranno come sempre di provincialismo, ed ha ragione; dimenticando che la più importante istituzione pubblica musicale, la Scala ( fintamente privata, reggendosi con il sostegno irrinunciabile dello Stato!) è da oltre dieci anni guidata da manager stranieri, prima Lissner (che a Milano ha trovato anche moglie) ed ora da Pereira ( che di compagna ne ha una orientale).

Noi, anche noi, siamo destinatari dell'accusa di provincialismo che Franceschini ha rivolto al TAR, per la ragione che da anni ci battiamo per l'invasione di musicisti stranieri nelle nostre istituzioni. Dunque anche noi saremmo 'provinciali' e provinciale sarebbe la nostra causa?

No, la nostra battaglia contro detta invasione poggia su altre basi, molto più solide. A santa Cecilia, di cui abbiamo scritto proprio nei giorni scorsi, per la prossima stagione sinfonica, i direttori sono TUTTIIII stranieri, e molti di loro sono praticamente sconosciuti in Italia. Il che dimostra che non sono stati invitati in virtù della loro fama - come, invece, accade ogni volta che all'estero scritturano per un incarico stabile un direttore italiano: Gatti ad Amsterdam - ma perchè la lunga mano delle agenzie straniere, le più potenti, arriva dove non  conta mai prima il merito e la carriera avviata. Come appunto all'Accademia di Santa Cecilia, ed anche all'Orchestra sinfonica della Rai di Torino, e l'elenco potrebbe continuare, e sta a dimostrare come i vizi si diffondono molto prima delle virtù.

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