domenica 22 gennaio 2017

La cultura sui giornali di oggi, domenica 22 gennaio: scalfari, cox, bocelli, campogrande, kusej, lotoro, abbado roberto

Cominciamo dall'Espresso, dal quale apprendiamo che Scalfari sta scrivendo un romanzo, e per comunicarcelo con garbo va a ripescare un autore del Settecento, Sterne, del quale ci rivela molte elementi della scrittura. Si augura di riuscire a finirlo.

Anche Nicola Campogrande, su La Lettura  del Corriere, deve rivelarci un segreto, ma lo condisce con l'esame dei suoni captati, attraverso le onde magnetiche,  dai tanti pianeti dell'universo. E il segreto, mentre va a caccia di farfalle in città? Sta scrivendo un'opera.

Mentre c'è chi i suoni li esamina,  ma quelli che ci sono e sono ben chiari, e cerca di capire che evoluzioni seguono nello spazio, al chiuso o all'aperto. E' lo studioso americano Cox. Il quale (  Robinson,La Repubblica) dà alcune dritte sulle sale a concerto, la cui form determina anche il riverbero e la migliore propagazione del suono. In cima alla classifica c'è quella di Boston, a seguire la Philharmonie di Berlino e quella di Amburgo, appena inaugurata, sullo stesso modello. Ma le migliori sono quelle che hanno una forma a 'scatola di scarpe', cioè rettangolari, come, ad esempio la Sala dorata del Musikverein e, noi vorremmo aggiungere,  anche quella del Lingotto di Torino alla lista, perchè a forma di 'scatola di scarpe' progettata da Renzo Piano, ma non possiamo e vi diciamo perchè.
Di grazie, ing. Cox ci dica quali sono le migliori sale da concerto italiane? Ve ne è almeno una da inserire fra le prime dieci nel mondo? L'ing. Cox, dopo questo nostra domanda, sta ancora pensando alla risposta.

 Se non ci sarà motivo per parlare dell'opera che si parli almeno della regia, modello ISIS. E' quello che ha pensato Sani, sovrintendente del Comunale di Bologna, teatro con il bilancio fra i più disastrati, quando ha scritturato il regista Kusej per il Ratto dal serraglio mozartiano, già presentato al festival di Aix, in versione protetta dalle millanterie ideologiche e di ambientazione del regista. A Bologna non vige nessuna censura, e perciò  carabinieri e polizia schierati all'ingresso e nel foyer per controllare borse e decolté delle signore, nel caso in cui avessero nascosto qualche oggetto di contestazione - ma non pensavano ai fischietti in Questura. E così ha dovuto cambiare anche l'epilogo dell'opera mozartiana segnato dalla magnanimità del Pascià. Tutta va bene ciò che produce chiacchiera.

 Sta per uscire un film, titolo 'Maestro', che racconta le gesta di un musicista pugliese, Francesco Lotoro, pianista, che ha dedicato l'intera sua esistenza alla ricerca ed allo studio della musica cosiddetta 'concentrazionaria', cioè la musica scritta ed eseguita nei varo campi di concentramento. Lotoro ne ha fatto la missione della sua vita, ed il film gli rende  onore.

Per un film che esce un altro se ne sta girando dedicato ad un musicista, al cantante più noto del pianeta, ed anche al più amato, Andrea Bocelli. I regista non si nasconde i pericoli di questo genere di film che hanno per  protagonista  un personaggio ancora vivo. Il regista non se li nasconde, anzi vuole sfruttarli, sperando che il film abbia nel mondo intero - dove Bocelli è conosciutissismo - lo stesso successo che ha la sua voce e le sue canzoni. E  ci sarà anche un capitolo 'melodramma', nel quale prendere nota delle varie contestazioni-  si chiede Valerio Cappelli ( Corriere ). NO questo non ci sarà, anche perchè si tratta di un capitolo aperto e chiuso subito dopo. Bocelli non regge un melodramma o un'opera intera. Una registrazione del Requiem di Verdi,  nel Duomo di Parma, alcuni anni fa, ci hanno convinti di questo. Potrà continuare a cantare anche singole arie del melodramma - un pò come  fa anche Cecilia Bartoli, preferendo  cantare fior da fiore dell'immenso patrimonio  che  si confa alla sua voce di oggi, piuttosto che intere opere, nel qual caso cambia il diapason o fa altro - ma ripetere l'esperimento passato di Bohème sarebbe per lui molto pericoloso. Continui a fare perciò quello che fa ora, nessuno potrà impedirglielo, ma cantare il melodramma no, da lui stesso viene l'impedimento.

Abbado direttore artistico del Festival Verdi di Parma, per le edizioni dal 2018 al 2020.  La notizia la da Repubblcia, ma  precisazione necessita. Non si tratta di Daniele Abbado, regista, nè di Alessandra, manager, i due figli del maestro. Bensì del nipote del grande direttore, direttore anch'egli, di nome Roberto che si è creato una sua bella carriera, ed oggi oltre che dirigere dappertutto, è stabile anche a Valencia.

Noi a Roberto Abbado siamo legati da stima ed amicizia. Stima ed amicizia che ci spinsero ad invitarlo a Città di Castello per dirigere la Verdi nel concerto sinfonico conclusivo del festival che nel 2004 ci ebbe direttore artistico. Dopo di allora mai per Città di Castello sono transitati direttori dello suo steso rango e notorietà. E stima ed amicizia che ci spinsero a sostenere la sua candidatura per il Concerto di Capodanno dalla Fenice, negli anni in cui avevamo, per conto della Rai, la 'consulenza artistica' del Concerto, consulenza che consisteva principalmente nella cura del programma del concerto, ma che si estendeva anche alla scelta dei direttori.

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