sabato 29 ottobre 2016

La regia, è una malattia contagiosa del teatro d'opera classico. Mentre è il medicamento miracoloso per quello contemporaneo

Che la regia d'opera rappresenti oggi 'un', forse 'il' problema, più  che 'una' o 'la' soluzione per il teatro d'opera contemporaneo, è cosa nota.  E lo è problema e allo stesso tempo anche soluzione, perchè senza una regia rivoluzionaria, con soluzioni impensate, che colgono di sorpresa il pubblico, spiace dirlo, ma forse il teatro d'opera o il 'teatro musicale' come si preferisce chiamarlo oggi, avrebbe vita ancor più difficile.
Strano che quasi mai nel teatro di prosa si arrivi a tanto a stravolgere cioè storia e tutto il resto. Nel teatro musicale, melodramma o opera che sia, la regia crea soprattutto problemi  nel repertorio più popolare; dovrebbe lavorare più in punta di penna, ma non lo fa, riuscendo   quasi sempre ad infastidire il pubblico che va a teatro ad ascoltare e vedere La Traviata di Verdi e  non quella di Michieletto, mentre solletica solo i critici che altrimenti non saprebbero cosa raccontare sui giornali all'ennesima Traviata vista ed ascoltata  e  che, infatti, questo fanno: raccontano per filo e per segno ciò che si hanno visto, lasciando alle ultime tre o quattro righe qualche annotazione musicale sugli interpreti, qualche volta perfino dimenticandoselo.
 Se nell'opera di repertorio non poche volte, come abbiamo detto, la regia ha costretto direttori o interpreti ad abbandonare il palcoscenico per soluzioni troppo avventurose quando non addirittura in contrasto con l'opera e la musica;  nell'opera contemporanea, dove la strada maestra non è stata ancora trovata dai musicisti  che si barcamenano fra soluzioni che vanno  dal teatro 'con musica' al cosiddetto 'melologo'  e dove la musica, quasi sempre ad effetto, è ridotta a colonna sonora della vicenda narrata, il regista rivoluzionario ha lo stesso ruolo che in antico aveva il 'deus ex machina', che con gli effetti e trovate scenografiche - voluti dalla storia, e non opposti o addirittura avulsi ad essa, come oggi si suole vedere - doveva captare l'attenzione  degli spettatori, i quali  però avevano anche altri elementi di fascino cui attaccarsi,  e cioè la storia e gli interpreti vocali, assai più apprezzati della musica stessa.
 Oggi senza regie 'alla maniera di' Michieletto, tanto per fare un esempio sotto gli occhi di tutti, difficilmente un'opera nuova reggerebbe  per più d'una serata alla prova del palcoscenico. E perciò sono benedetti, oltre che dai critici, che - ripetiamo -  altrimenti non saprebbero di cosa parlare, dai musicisti con i quali condividono la responsabilità della riuscita di un nuovo lavoro, e dal  pubblico che  se non sulla musica, che mantiene il suo linguaggio ancora ostico per le orecchie, almeno sullo spettacolo può fissare l'attenzione.
 Di tale necessaria presenza sono ben coscienti, e l'invocano, i musicisti coloro i quali dovrebbero essere gli artefici principali del teatro musicale odierno. I quali perennemente insicuri del loro operare, si attaccano anche ad altri elementi per attirare l'attenzione del pubblico. Come ad avvenimenti o personaggi storici della storia recente, capaci di creare suggestione ed immedesimazione, o a formule e formulette che vanno ripetendo stancamente in ogni lavoro, incapaci di rinnovarsi. Pensiamo alla formula di Philipp Glass del film-opera, o a quella che un tempo lontano Bussotti definì opera-film, spiegando la sua Ispirazione, data a Firenze, con la regia di Derek Jarman; o, infine, a chi ha scelto da tempo di attaccarsi a film molto noti, uno alla volta, per ogni sua nuova opera, come Battistelli ( che nostalgia per il suo Experimentum mundi) e in misura minore anche Tutino. Il caso di Sciarrino che nella sua opera più nota, Luci mie traditrici, di cui è anche librettista, non ha bisogno di regie rivoluzionarie, ma di una regia discretissima, contando la sua opera più nota e rappresentata, sulla forza della musica e della parola, è abbastanza raro, quasi unico.
 E così la regia , specie se di rottura, fa salire le sue quotazioni,  e continua la sua marcia trionfale,  arrivando ad inondare rovinosamente anche il repertorio.
 Che ciò disgraziatamente corrisponda a verità lo attesta anche una pubblicità della nuova stagione dell'Opera di Roma, vanto di Carlo Fuortes e espressione della sua filosofia applicata al melodramma, Si legge un doppio elenco, quello dei direttori ed accanto quello dei registi,  che sono quelli che, secondo Fuortes, dovrebbero attirare il pubblico al teatro romano. E quando una regista come Sofia Coppola, con la sua 'non rivoluzionaria'  regia, attira nonostante tutto, pubblico ( in verità anche per la sua fama di cineasta e per la corte dello stilista Valentino), Fuortes, ma anche i critici,  appaiono delusi.
Ultima in ordine di tempo anche una debuttante nella regia d'opera, Alice Rohrwacher, sulle orme dei tanti cattivi maestri ha deciso di RIVOLUZIONARE l'opera di verdi, quel capolavoro della Traviata, che ha bisogno solo di essere eseguita al meglio da cantanti  ben  scelti  e adatti ai ruoli.

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