venerdì 2 settembre 2016

Massimo Bray e Virginia Raggi: soltanto indecisi? No, 'calcolatore' il primo, 'incapace' la seconda.

L'ex Ministro, l'ex 'Italianoeuropeo', l'ancòra e sempre Dalemiano, finché dura - altrimenti la carriera non la faceva - ed ora anche 'Amatiano' ( nel senso di Giuliano Amato, suo più fresco sponsor): Massimo Bray, Dante, clemente, lo  avrebbe messo nel girone degli eterni indecisi, e noi, invece, nella 'Umana Commedia', in quello dei 'calcolatori'.
Non ricordiamo con particolare nostalgia il periodo in cui il Letta nipote lo volle ministro, 'togliendolo ai suoi studi' e 'facendoselo prestare, causa premio' da D'Alema; e neanche per qualche segno lasciato, salvo quella legge che porta il suo nome e che dovrebbe tirar fuori dai guai economici le fondazioni liriche. Non è che il Ministero della cultura abbia brillato per presenze egregie negli ultimi anni, forse decenni: Urbani - che risplende come una stella su tutti gli altri, figurati -  Buttiglione, poi Rutelli, se non sbagliamo, e  Veltroni e Melandri ed ancora Bondi e Galan e quel bocconiano di cui non ricordiamo neanche il nome, Ornaghi forse, ed infine l'inviato del 'massimo' che c'è - Massimo come D'Alema - e cioè il Massimo 'minimo'.
 Direttore editoriale della Treccani, per molti anni, quando il PD, per volere del Massimo 'massimo' lo fa eleggere al Parlamento; alla prima occasione utile di cambio del governo, in Italia tanto frequenti, D'Alema lo sostiene e lo fa nominare ministro - ministro della cultura, per i suoi studi,  iniziati nella fondazione dalemiana  e proseguiti alla Treccani,  ma anche e soprattutto per essere stato issato alla presidenza dai luogotenenti di D'Alema, della 'Notte della taranta', festival salentino di musica popolare - sempre in zona dalemiana - noto nel mondo e di primissima qualità. Al ministero il suo incarico finisce ben presto,  non quello al Parlamento. Ma ci pensano ancora D'Alema e Amato a farlo tornare in Treccani, questa volta lui si dimette da parlamentare, perché ritorna in Treccani non più con il semplice incarico di 'direttore editoriale', bensì con quello di 'direttore generale ( 'un incarico per volta, dichiara furbescamente, la Treccani lo richiama per un incarico ben più impegnativo' ma forse più remunerativo anche per immagine: di Treccani ce n'è una, al Parlamento son cinquecento) scacciando via 'Kaiser Franz' che in una decina d'anni aveva risanato i bilanci e digitalizzato tutta la produzione del famoso istituto. Anche se  nei riguardi dello stesso istituto, per  volontà  e merito di quella signora di sua moglie, Sonia Raule, aveva osato uno sfregio, utilizzando nella sua masseria pugliese, ben cento volumi della famosa enciclopedia a mò di tavolino - tavolone - da salotto, sul quale servire tè e pasticcini. Una vergogna oltre che uno sfregio. Ma intanto i bilanci li aveva risanati.
 Poi arriva la scadenza delle elezioni comunali a Roma, e il Massimo 'minimo', per 'senso di responsabilità' - l'interesse non esiste nel suo vocabolario -  prima mette in giro la voce che vuole candidarsi a sindaco; poi un lungo tira e molla, e alla fine si sfila, quando si accorge che nessuno lo  avrebbe votato - chi è Massimo Bray, si chiedevano anche nello stesso PD - accampando la generosissima tesi che 'non voleva spaccare il partito'.
 Ancora una volta, in tempi più recenti, riciccia il Massimo 'minimo' come candidato a difendere dalla rovente concorrenza milanese il Salone del Libro di Torino. Lui sarebbe un presidente di 'peso',  pensano in Piemonte: dello stesso peso dei volumi che l'Istituto che dirige produce e di quelli inamovibili che la Sonia Tatò ha usato per tavolo da salotto,  facendoli incellofanare - proprio come fa un famoso artista impacchettatore - non per evitare che si sporchino, come verrebbe da pensare visto il già grave scempio, semplicemente perché non si spostino ogni volta che i pargoli di Franz Kaiser e signora ci giocano con le macchinine telecomandate.
 Il Massimo 'minimo' - torniamo alla sua candidatura a Torino -  dichiara di essere onorato della proposta torinese, ma non si decide ad accettarla, attende che nelle prossime settimane la Appendino e la Fondazione si diano il nuovo statuto, leggi: gli diano altre certezze, perchè il Massimo 'minimo',  quando il Massimo 'massimo' avesse a dimenticarsi di lui, teme di finire chissà dove, senza garanzie, e perciò le pretende in ogni incarico. E , del resto, i casi di tutti gli altri ministri finiti nel dimenticatoio una volta che i loro protettori politici sono caduti in disgrazia o li hanno abbandonati, suonano come ammonimento sinistro, anche per il Massimo 'minimo'.

Il Massimo 'minimo' fa il paio con Virginia Raggi, l'intraprendente sindaca romana sull'orlo di una crisi di governo. Su molti, quasi tutti i settori di sua competenza non decide ( Fiera di Roma, Olimpiadi del 2024, nettezza urbana,  metrò,  trasporti, ma anche sui suoi collaboratori), non solo; ma perde pezzi importanti, come è accaduto anche ieri, ed è presa in carico, per evidente incapacità, accompagnata da indecisione perenne, dal direttorio del suo partito, pardon 'movimento' attraversato da lotte intestine per accaparrarsi, ciascun ducetto ma anche ciascun soldato semplice, la sua fetta di potere e popolarità.  E intanto Roma affonda anche sotto le 5 Stelle che avrebbero dovuto brillare nel suo cielo.

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