giovedì 25 agosto 2016

Terremoti a L'Aquila, 1349 ,1703. Cronache

                                          Terremoto a L'Aquila. 10 settembre 1349 

Quando credevamo stare in lo loco più tuto, subitamente venne sì gran terremuto, dalla morte de Cristo non fo mayore veduto; appena homo trovonseci che non gesse storduto. De persone ottocento d’Aquila fo stimate che per lo terremuto foro morte et sotterrate, chi si vedeva strillare et fare pietate, chi plangea lo filio, chi mollie et chi lo frate. Chi plangea la matre, chi patre et chi sorella, chi se grattava lo petto, et chi la mascella; et geano scommorando omne strada et ruella, per retrovare li corpi, con amara favella. Quando le case cadero, tanta era polverina, non vedea l’uno l’altro in quella matina; multi ne abe ad occidere senza male de ruina ben se lli dè ad conoscere la potentia divina! Or che vedesse edefitia et case derupate! tuctequante le ecclesie erano atterrate che fo lo maiure danno che avesse la citate, salvo la morte delli homini ad dire la veritate. Le strade erano incomodate de prete et de legname; forria forte ad Abruzzo scommorare lo marrame! assay fo granne affanno; vinneroce tuctotame li nostri contadini ad scomborare le strade. Non jaceamo in casa, ma le logie facemmo; più che nove semane pur de fore jacquembo più frido assai che calla in quillo tempo ambembo; et de nostri peccati poco ne penetembo. Correa li anni Domini mille et trecento et plu quaranta nove, credate ca non mento, quando fu lo terremuto et quisto desertamento; et quilli che moreronci, dio ly agia ad salvamento! Però che era l’Aquila così male adrivata, de ecclesie ed edifitia cotanto desertata, et anchi delle mura non era circondata, multi homini credevano non foxe abitata. Et anchi comensaro parichi ad scommorare, chè nne voleano gire de fore ad abitare; credeano che Aquila non se degia refare, lo conte sappe questo, abese ad conselliare. Vedendo poi lo conte la terra desolata per granni terremuti così male adobata, le mura erano ad terra, non era reparata, pensò subitamente de fare la sticconata. Como illo comandò, foro facti li sticcati de bono lename grosso, multo ben chiovati; sticcavano la terra per multi vicinati, et forone grandi utili, ca stevamo inserrati.
                                                               (Buccio di Ranallo. Cronaca aquilana. 1363)


                                    Terremoto a L'Aquila. 14 gennaio - 8 febbraio 1703

Il giorno delli quattordici del suddetto Mese ad un’ora e mezza di notte si fece sentire un sì grande, e spaventoso Terremoto, che recò non piccolo timore a tutti, e fece cade il Campanile di San Pietro di Sassa, con tutta la Tribuna, et moltissimi Cammini, con aver fatto fiaccare molti Edifici, e Case, senza offendere però persona veruna. Il Martedì poi circa le ore vent’una tornò a replicare un altro non tanto grande, ma con più danno, mentre caderono due altri Campanili, cioè quello di San Pietro di Coppito, e quello di Santa Maria di Rojo, è patito grandemente quello della Cattedrale, che sta quasi cadente; & in altre Chiese vi à fatte varie aperture; in somma si sta tremando, ed ogn’uno sta con baracche in Campagna, ne si attende ad altro che à Processioni, Esercizj Spirituali, Confessioni, Communioni, ed altre opere di pietà: li danni maggiori causati da’ detti Terremoti seguiti fino al predetto giorno, si sentono in Montereale, che l’abbi tutto gettato à terra, con mortalità di ottanta persone in circa; Civita Reale tutta spianata, con essersi salvate solo dieci persone. Borbona andata tutta, ed è restato il Borgo con poco danno. A Cummoli caduto tutto, ove sono restate quindici persone morte. La Matrice quasi tutta disfatta, con mortalità di venticinque persone, senza poi quelle delle Ville. La Posta, e Leonessa hanno al maggior segno patito. Il giorno due Febraro, Festa della Purificazione di Maria sempre Vergine Nostra Signora, su l’re diciotto, e mezza, celebrandosi l’ultima Messa per la Funzione della distribuzzione delle Candele, si fece di nuovo sentire nella medesima Città dell’Aquila con treplicate scosse il Terremoto, e dannegiò a segno in un Miserere, che sono quasi a terra le Chiese di San Bernardino, San Filippo, la Cattedrale, San Massimo, San Francesco, Sant’Agostino, con il resto di tutte le Chiese, e Monasteri di detta Città. Tutti i Palazzi o rasi o cadenti. Nel Tempio di San Domenico, ove si faceva la Communione Generale in quella mattina morirono da ottocento persone ed all’ingrosso si fa il conto, che perissero in quella Città più di tre milla abitanti, & è impossibile, che quel luogo possa risorgere. Ne’ luoghi circonvicini, non vi è ancora il numero de’ Morti, ma bensì è certo, che oltre li sopranominati, cioè Pizzoli, La Barete, Arrischia, Scoppita, con tutte le adjacenti Terre sopra l’Aquila, sono spiantate; e sotto l’Aquila, Paganica, Tempera, Onda, S. Gregorio, S. Eusanio, Campaba, e tutte le altre fino a Castel Nuovo, ch’è un’esterminio, & una rovina deplorabilissima. In Paganica diroccate quasi tutte le Case. In tempera i Molini, una Valchiera, ed altri Edifici da Carta. In S. Gregorio il Molino colle Macine interamente sepolte. In Onda qualche Casuccia, ch’è restata, sta per precipitare: in somma è una desolazione, e si prova in tutti quei luoghi l’estremo giorno del Giudizio. Li viventi restati a tanto sterminio, tutti in Campagna aperta sotto Cappanne, e Tavole, ignudi, miserabili, e mendichi, con calamità e miserie inesplicabili. Dall’Aquila si manda a comperare il Pane nero nelle Terre, che anno meno patito, e beato, chi ne puole avere un giulio. La Fortezza verso Tramontana è caduta, il resto molto intronata à segno tale, ch’è stata abbandonata dal Castellano, e dalla Guarnigione, che dimora tuttavia in Campagna.
(Relazione de’ danni fatti dall’inondazioni, et terremoto nella città dell’Aquila, et in altri luoghi circonvicini, dalli 14 del mese di gennaro fino alli 8 del mese di febraro 1703. Roma 1703)

                                                                           ( Music@, bimestrale di musica. 2010) 

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