martedì 23 agosto 2016

Il melodramma, come sta di salute? Non bene. I cinematografi potrebbero dargli una mano per rimettersi?

Dopo che una tv a pagamento ha trasmesso la Tetralogia wagneriana, tutta in una giornata, non pochi commentatori hanno indicato simili esperimenti come fra i pochi che possono far uscire il melodramma dalla stagnazione ( di pubblico). E parere analogo, largamente positivo, s'è letto relativamente alla proiezione delle opere nei cinema di molti paesi, avviata anni fa dal Metropolitan di New York e seguito, più di recente, anche dal Covent Garden londinese.
I dati relativi alle proiezioni nelle sale cinematografiche parlerebbero chiaro: mentre il pubblico del Metropolitan è sceso a livelli ormai tragici, la proiezione del cartellone  del Metropolitan ha fruttato, di contro, negli ultimi anni, la bella cifra di 18 milioni di dollari. E allora perchè non proseguire imitando tale esperimento anche in Italia a cominciare dalla Scala?
Giusta riflessione ed altrettanto giusta indicazione, salvo che non si venga a scoprire che buona parte di coloro che vanno al cinema a vedere le opere trasmesse in diretta, talvolta, dai grandi teatri, altri non sarebbero che coloro i quali frequentano abitualmente i nostri teatri d'opera e che trovano, di tanto in tanto, interessante seguire al cinema ciò che si fa nei teatri del mondo.
 Ma al di là del giudizio che si può dare sui due esperimenti, con tutte le precauzioni del caso, il problema principe - quello cioè del calo del pubblico dei teatri e dell'innalzamento dell'età del medesimo resta irrisolto, in tutta la sua gravità.
La soluzione, di pura follia, che taluni prospettano, soprattutto a seguito dei dati incoraggianti delle proiezioni delle opere nei cinema, sarebbe quella di chiudere i teatri che evidentemente, secondo questi soloni, spaventerebbero il pubblico giovane e nuovo. Chi tale soluzione prospetta non conosce quale fantastica emozionante esperienza costituisca la visione/ascolto di un'opera nel luogo per il quale è nata, il teatro. E tale nostra convinzione sarebbe confermata dal crescente numero di visitatori che per qualche istante soltanto vuole immergersi nella fascinosa atmosfera di un teatro d'opera, di cui l'Italia è piena.
 Il pubblico perciò non è spaventato dal teatro, inteso come sala nella quale l'opera si rappresenta.
 E allora da cosa è dissuaso, se diserta,  sia quello giovane - il fenomeno è mondiale - sia quello nuovo?

 Noi abbiamo due semplici idee, che con noi  molti altri condividono. Senza tornare al principio del disastro, soprattutto italiano - e cioè alla mancanza di conoscenza e pratica musicale dalle scuole -  sarebbe il caso che si partisse da due regole fondamentali. Se i teatri ( il guaio investe anche le grandi istituzioni musicali sinfoniche) non sono pieni come dovrebbero le cause principali sono due.

Innanzitutto il repertorio - nella programmazione si continua a tener d'occhio la presenza dei critici, con titoli fuori repertorio, piuttosto che il pubblico che , per essere spronato ad andare all'opera, ha bisogno di titoli noti, arcinoti che conosce e vuole  riascoltare ( non è certo con la Tetralogia wagneriana, comunque, che si porta gente nuova e giovane all'opera, questo è chiaro a tutti!). Dunque il cartellone dei teatri, per creare nuovamente affezione al melodramma, deve essere costruito in massima parte sul grande repertorio, che è costituito da capolavori, il cui richiamo non scema col tempo.

E poi il costo dei biglietti che in Italia è troppo alto e costituisce il principale motivo della diserzione di un pubblico nuovo e giovane dall'opera. Sbaglia chi dice che i prezzi dei biglietti sono in linea con quelli degli altri paesi. Sì, ma i nostri stipendi, mediamente, non sono affatto in linea con quelli degli altri paesi.  I  sostenitori ad oltranza della non esosità dei biglietti del teatro d'opera fanno notare che quando i giovani vanno ad ascoltare le star del rock pagano biglietti  abbastanza  costosi. Vero, ma si tratta di occasioni speciali. Il pubblico dei teatri deve essere fatto di gente che va a teatro regolarmente, non una volta l'anno. E i teatri devono essere aperti tutte le sere, offrendo quindi la possibilità a tutti di andarci, se non una sera, quella appresso o l'altra ancora.
 Operazioni come quella della Traviata romana di questa primavera, con la regia della giovane Coppola, ed i costumi di Valentino, fanno arrivare a Roma le dive di Hollywood o le star delle passerelle della moda, per la gioia di Fuortes e Franceschini e dei fotografi, ma non portano un solo spettatore in più al teatro d'opera. Sono occasioni 'mondane' non 'musicali'.

Infine una colpa non piccola l'ha anche la televisione che crede di aver assolto al suo compito di servizio pubblico, relegando la musica come l'opera ed anche il teatro, in quella riserva indiana di Rai 5, senza provare  a rendere 'televisivi' quei prodotti di alto conio, come invece  meriterebbero per figurare. Non ci stancheremo mai di ricordare che Rai 1 una decina d'anni fa l'aveva fatto con la bella trasmissione 'All'Opera! con Antonio Lubrano, nella quale fummo impegnati con grande soddisfazione anche noi nelle vesti di autore,  per ben sei estati, gratificati da indici di ascolto assai incoraggianti anzi lusinghieri.  La Rai, anche quella di Campo Dall'Orto, non solo non pone rimedio a tale anomalia, facendo guadagnare alla musica i canali generalisti che soli  le possono dare visibilità, ma anche a trasmettere quelle 'televisive' versioni di una sessantina di grandi titoli del melodramma ci pensa affatto. Sono puntate bell'e pronte, ben fatte e curatissime. Cosa costerebbe? Nulla, e d'estate piuttosto che vedere quelle  banalisime repliche viste riviste, forse i grandi titoli del melodramma soprattutto italiano, figurerebbero meglio sul piccolo schermo.

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