mercoledì 14 ottobre 2015

La musica italiana d'oggi. Il punto, dopo la Biennale che i giornali hanno ignorato.

Noi forniremmo una nostra personalissima lettura dell'appello, lanciato dalle pagine del Corriere, a firma Giuseppina Manin, in favore dei compositori italiani che lavorano all'estero piuttosto che a casa, dove la situazione della musica d'oggi italiana non è certo rosea; ma neanche disastrosa, in un paese come il nostro, dove della musica non importa a nessuno, figuriamoci della musica d'oggi, sinceramene assai ostica, salvo i casi - e sono  numerosi - in cui a tutti i costi, con una operazione di grande furbizia, si tenta un riavvicinamento alle pigre orecchie,  anche disabituate, dei nostri ascoltatori.
Senza saper  leggere il futuro che non consociamo, nè il passato di cui non siamo stati testimoni, sia chiaro, crediamo di immaginare come sono andate le cose.
Paolo Baratta,  presidente dell'istituzione veneziana, dopo che la Biennale Musica non ha avuto neanche un  articoletto  sui giornali, passando nel più totale silenzio stampa, ha chiamato la Giuseppina e, mettendo la faccenda sui 'principi',  per non rasentare la banalità del lamento, ha voluto lanciare un allarme sulla grave situazione in cui si trovano i compositori italiani in Italia, quei pochi, pochissimi che ancora non sono espatriarti e sopravvivono alla moria generale, per fame.
 Baratta avrebbe chiamato anche una fedelissima, come la Aspesi, ma deve avergli risposto che la faccenda, riguardando pochissimi oltre i diretti interessati, non era interessante.
 Che ha scritto la Manin? Ha scritto, sotto fedele dettatura, che molti compositori della generazione dei quaranta-cinquantenni  lavorano per la maggior parte all'estero, e che quei pochi che ancora sono rimasti in Italia fanno fatica a vivere del loro lavoro di compositori e, perciò, stanno pensando anch'essi di andarsene. Perchè in Italia nessuna istituzione musicale si preoccupa di dare spazio alla creatività contemporanea. Dunque non ci si chiede come trattenerli, se addirittura chiedere a Renzi, ammesso che ci senta da quell'orecchio, di fare un bando analogo a quello lanciato in favore del ritorno dei 500 professori universitari.
 In Italia, in effetti, gli spazi per la nuova musica, che pur esistono, sono circoscritti ed esclusivi, salvo rarissime eccezioni, e nessuno di essi può assicurare al compositore di guadagnarsi da vivere.
 Questa però non è una novità. In molti paesi, salvo i compositori sulla cresta dell'onda, che stanno tutti nelle dita di due mani al massimo per l'intera Europa, possono vivere del loro lavoro ed infatti fanno altro per ricavarne i mezzi di sostentamento. Ricordo di un  nostro antico viaggio in Canadà dove i compositori quasi tutti erano dipendenti di radio e televisione, o lavoravano in studi di registrazione, insomma non  si guadagnavano da vivere con il loro lavoro di compositori, salo nei casi in cui scrivevano per le necessità di radio e televisione.
Anche  Boulez s'è guadagnato da vivere, oltre che con i soldi del governo francese per l'IRCAM, facendo il direttore d'orchestra, lavoro con il quale, se si trova da lavorare, si guadagna bene, e benissimo per un musicista del suo rango.
 In  Italia, dicevamo, le occasioni, seppure ridotte e circoscritte, per i compositori di farsi ascoltare, esistono. Ma si dà pure il caso che dopo il primo ascolto quelle loro opere restano lettera morta e non producono altro. Mentre il compositore avrebbe bisogno di trovare editori, mecenati, mezzi di comunicazione ( radio e tv innanzitutto, sebbene l'entità dei diritti d'autore per esecuzione o trasmissione si sia ridotta all'osso) interessati fattivamente al suo lavoro. Se nessuno 'commissiona' ai compositori italiani nuove opere, magari più d'una l'anno, e il compositore non  può pretendere somme di un certo rilievo, la vita del compositore diventa fra le più dure; sempre meglio naturalmente che andare in miniera, ma dura lo stesso.
 Sia la Biennale di Venezia, che Rai Nuova Musica della RAI a Torino, o Play It a Firenze, come anche Milano Musica a Milano, o Nuova Consonanza a Roma, solitamente in mano a compositori od editori, restano dei circoli per iscritti, che servono piuttosto a marcare territori e definire appartenenze che nulla possono cambiare in meglio, e che servono ai rispettivi organizzatori a mostrare la mercanzia dei propri soci od affiliati. Niente più, mentre invece servirebbe altro, molto altro. Un tempo esisteva anche la figura del compositore 'residente' assai diffusa all'estero, in Italia quasi del tutto assente, salvo i casi  delle  massoniche mafiette ben note. E, comunque, sempre  in troppi su un osso solo.
 Oggi, il Corriere,  torna sull'argomento, ospitando una lettera del sovrintendente della Fenice di Venezia,  dott. Chiarot, anche nella veste di presidente della associazione delle Fondazioni liriche italiane, per ribattere che  la situazione  non è poi così nera, se il suo teatro ogni anno presenta nuove opere, ( lo fa anche Santa Cecilia e la Scala, che comunque si sono sfilate dall'associazione presieduta da Chiarot, essendosi guadagnate, di recente, anche l'autonomia che le pone al di sopra e al di fuori della altre), se Roma addirittura ha un secondo direttore artistico ad hoc, per l'opera contemporanea e se addirittura un teatro che presenta regolarmente opere nuove commissionate a compositori italiani, ha al suo vertice un compositore, che Chiarot gratifica con l'aggettivo 'illustre', non proprio meritato -  si tratta di Bologna  che ha come sovrintendente  Nicola Sani, più bravo ed efficiente come organizzatore musicale, come ha dimostrato, anche a suo favore, durante la sua permanenza a capo della Fondazione Scelsi.
 Chiarot voleva dire che i teatri - lui parlava per quelli - nonostante la situazione, si fanno onore anche sul fronte della musica contemporanea. Non ha citato l'ultima notizia che riguarda la musica contemporanea italiana e cioè la nomina del compositore Nicola Campogrande a direttore artistico del Festival MiTo in sostituzione di Restagno, dimissionario, che torna finalmente, dopo molti decenni, ai suoi studi.
 Nell'articolo della Manin si cita anche il caso di due compositori stimatissimi ed eseguitissimi all'estero, il notissimo Salvatore Sciarrino - che comunque è fra i più eseguiti in assoluto anche in Italia, ma che riceve commissioni importanti soprattutto da teatri e festival stranieri, e che l'anno scorso ha presentato una sua nuova opera a Santa Cecilia, commissionatagli dall'Accademia, diretta da Pappano   - alla giovane Lucia Ronchetti, che pratica soprattutto il teatro musicale da camera, e che è eseguita ( rappresentata) praticamente in esclusiva all'estero, da dove le giungono le commissioni più importanti e più di frequente.
 Comunque il problema suscitato della Manin, che pur esiste, è più generale. In Italia, da Santa Cecilia alla Rai di Torino , tanto per citare due soli esempi, nei rispettivi cartelloni sono presenti esclusivamente artisti stranieri. E perciò il problema si pone per tutta la musica italiana che, caso assai strano, è finanziata con soldi pubblici italiani, seppure malamente, che però vanno a finire per la maggior parte nelle tasche di musicisti stranieri. Da tempo lo denunciamo, inascoltati. E non veniteci a dire che la musica non conosce confini. Qui c'è dell'altro, ed è sicuramente del marcio.

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