giovedì 1 ottobre 2015

All'Accademia di Santa Cecilia, Beethoven e i contemporanei.

E' da giorni che leggiamo la stessa solfa, immancabilmente e senza neanche una variante - che, se di vergogna  mai ne avessero anche una punta, tanti giornalisti dovrebbero introdurre, per non scrivere gli stessi le medesime panzane! - a proposito delle sinfonie di Beethoven dirette da Pappano, a Santa Cecilia, nel giro di cinque concerti, e in un mese, precedute - sta qui la grande idea, rivoluzionaria, a detta degli interessati  organizzatori - da brevi pezzi  commissionati ad autori  di oggi o da sinfoniette - 'ette' per la durata risicata, solo per questo - di musicisti contemporanei di Beethoven. E quelli e queste e le sinfonie per  sottolineare un'intuizione del grande Berio - ripetuta in decine e decine di interviste, alcune gratis altre a pagamento, ma alla luce del sole, come risulta anche dai bilanci di Santa Cecilia - che conosciamo a memori, e cioè che 'ogni musica, tutta la musica, è sempre contemporanea di chi l'ascolta'. Ci siamo ammutoliti di fronte all'acutezza di tale intuizione del noto musicista.
 Ora, a parte il fatto che quei pezzettini o quelle sinfoniette, comunque, non giovano affatto ai rispettivi autori, a cospetto dei monumenti beethoveniani ed a loro diretto contatto, ciò che ancor meno condividiamo è quella 'abbuffata' - ci si perdoni il termine ingiurioso ed irriverente - sinfonica beethoveniana,  con l'offerta, di volta in volta, non di una ma di due sinfonie, secondo una logica che non tiene affatto conto dei processi psichici ed intellettivi che presiedono alla ricezione e comprensione dell'opera d'arte.
 E non ci si venga a dire che, girando per un museo, si potrebbe arrivare alla medesima conclusione, con tanti capolavori uno di fianco all'altro, conclusione alla quale nessuno mai è arrivato.
Perchè - lo capì tanti anni fa Alberto Moravia in un suo breve ma  preziosissimo  testo, regalato alla rivista 'Piano Time'  - la musica non è come la pittura, la quale investe solo o prevalentemente lo sguardo; la musica non lascia nessuno dei sensi umani indifferente o estraneo e perciò coinvolge per l'intero la sensibilità e l'intelligenza dell'individuo al quale dopo avergli chiesto uno sforzo di comprensione, non  gli si può chiedere un secondo sforzo, a distanza di pochi minuti uno dall'altro. Troppo faticoso, con il rischio di bruciare una occasione preziosa.
 Oppure che esistono opere che per la loro durata, come nel caso dei monumenti wagneriani, gareggiano con l'insieme delle sinfonie beethoveniane. La durata è un fattore  secondario, la differenza sta nel fatto che Wagner concepisce una sua opera - dramma - come un cammino lento dall'inizio alla fine, mentre le sinfonie beethoveniane, per le quali va di moda l'esecuzione integrale a distanza ravvicinata, sono 9 e ciascuna a sé stante. Semmai tutte insieme, fossero  immensi quadri o tele, costituirebbero una galleria del tutto simile a quelle museali, attraversando la quale rischieremmo di essere fulminati dalla famosa  'sindrome di Stendhal'.
Per questo a noi una sinfonia beethoveniana a concerto basta e avanza,  e dio voglia see riusciamo a capirla e goderla al massimo. Due son troppe , non abbiamo la forza e forse neanche la voglia per fare due volte lo stesso  impegnativo cammino, in una medesima serata, nel giro di poco più di un'ora.
 Ma di ciò nessuno parla, per non essere costretti ad interrogarsi su ciò che si fa e sulle ragioni della scelta. Si preferisce, al contrario,  la  più facile, ma inutile strada del proclama e delle frasi  ad effetto, pur frutto di geniali -  ma senza esagerare! - intuizioni.

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