venerdì 8 maggio 2015

Piovani, Brunello, Chailly inneggiano al silenzio, ma poi suonano e parlano. A ruota libera. Perchè?

Bisognerebbe, in verità, andare ancora più indietro nel tempo per leggere un elogio del silenzio in termini esaltanti. Bisognerebbe andare a Cage. Ma, al momento, lo tralasciamo, e partiamo, per comodità, da Piovani. Il quale proprio sulla  salutare necessità del silenzio ha scritto sui grandi quotidiani, lamentando l'invasione del suono e del rumore. Ha ragione . Ormai non si può fare un passo senza che si sia costretti a sorbirsi immediatamente il sottofondo di una colonna sonora, quasi mai desiderata o richiesta, perfino nei bagni. C'è musica di sottofondo  a tavola nei ristoranti, all'aeroporto, nelle stazioni, nei negozi, dappertutto, al punto che un  nostro collega, idiota - come altro definirlo? - dalle pagine di Repubblica, in un Natale di non so quale anno, consigliava di mettere , come sottofondo, le Suite per violoncello di Bach - un 'pensiero' in musica - durante il pranzo di Natale, quello in cui le famiglie si riuniscono, bambini vocianti compresi.
 Più di recente  sulla stessa linea s'è mosso anche Mario Brunello, ottimo violoncellista e  sperimentatore musicale ed anche intelligente organizzatore. Lui s'è limitato a cantare la poesia del silenzio, quello che 'si ascolta' prima che inizi la musica o  nel corso di una esecuzione, con tutto il suo carico di tensione. Ad esso sembra che Brunello presti maggiore attenzione che alla musica. Ma allora perché suona? La coerenza dovrebbe spingerlo a immergersi nel 'suono' del silenzio, e rimanervi, rimandando ad altri  il 'suono della musica. E, invece no, lui si mette a suonare e del silenzio se ne scorda. Come se ne è certamente scordato, quando, sotto i fumi dell'alcool,  ha raccomandato, suggerendole,  le musiche da  abbinare ai vini per gustarli nella loro rotondità e pienezza. Roba non da poco. Beethoven con il barolo, Bach con il barbaresco, Vivaldi con il prosecco e via bevendo(si) anche  il cervello.
 A Brunello ci permettiamo di consigliargli la frequenza di uno dei tanti corsi - tema 'il silenzio è d'oro - che si tengono in una singolare università, ad Anghiari. Chissà che a diploma ottenuto, non ne tragga le conseguenze.
 Sul medesimo argomento - il silenzio -  torna a parlare Riccardo Chailly, nella biografia, fresca di stampa, scritta con Enrico Girardi,  ed edita da Rizzoli. Il silenzio - a leggere le due contemporanee anticipazioni ( uscite ieri sul 'Venerdì' di Repubblica, con una intervista al direttore, e sul 'Sette' del Corriere con una breve recensione) - sembra al centro dell'attenzione anche del direttore milanese che ora si è insediato di fatto alla Scala. Lui tiene talmente tanto al silenzio che le sue case, da quella in Engadina a quella al mare ed alle tante altre che sicuramente avrà, le sceglie sempre in luoghi dove si può aprire la finestra ed 'ascoltare il silenzio'. Povero cocco, verrebbe da dirgli. E poi, naturalmente, anche lui pontifica sul silenzio che precede l'inizio della musica, prima che  la sua bacchetta - costruita appositamente da un americano che fa questo di secondo lavoro oltre il contrabbassista - si alzi per dare il via alla  nobile cagnara.
 Dobbiamo confessarlo - e lo facciamo ben sapendo che anche a noi potrebbe essere rimproverata la scrittura di una biografia, quella di Pappano, dove però tante idiozie, per nostra fortuna e volontà, non si leggono, essendoci noi limitati a far conoscere un direttore salito prepotentemente alla ribalta internazionale - che neanche un rigo di ciò che abbiamo letto nei due articoli di ieri ci ha particolarmente interessato; anche perché sapevamo già tutto.
 Ecco un'altra occasione in cui si sbaglia a non stare zitti: quando si dicono e ridicono sempre le stesse cose. Uffa.

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