sabato 21 marzo 2015

L'opera italiana patrimonio dell'Umanità. Opportunità o responsabilità? CPI ottimisti

 Si vuole candidare l'Opera italiana a 'bene immateriale dell'Umanità' inserendola nella già lunga lista dell'Unesco, dove sonio  già presenti, ad esempio, la pizza napoletana ed altri soggetti, fermandoci all'Italia.
Per Opera italiana in questo caso si intenderebbe quell'insieme di idee, saperi, mezzi  che vanno dalla stesura di un''opera alla sua realizzazione. Insomma dal libretto, alla partitura, alla scenografia, alla costumistica, al canto, alla regia ( la più moderna delle scienze applicate al melodramma) alla rappresentazione. Senza uno di questi elementi la rappresentazione come prodotto finale non si dà. E mettiamoci anche i teatri i quali sorsero in Italia numerosi dal momento in cui l'Opera italiana divenne la bandiera musicale e linguistica del nostro paese nel mondo, e il mezzo per la sua  coesione sociale, culturale e perfino politica, oltre che naturalmente e prima di tutto linguistica. Dato che ancora oggi, giova ricordarlo, la nostra lingua è fra le più conosciute nel mondo proprio a causa dell'Opera italiana, il più vasto e vario repertorio di teatro musicale della storia,  e che molti termini ad essa collegati sono tuttora citati in italiano in ogni parte del mondo.
 Si dirà che  se  hanno incluso nell'elenco Unesco la 'pizza napoletana', per l'Opera italiana non ci sarà certo problema alcuno . Ed è vero. Però...
 Giovanni Puglisi, massimo rappresentante in Italia dell'Unesco, in una sua relazione preliminare a tale candidatura,  raccomandava ai promotori della prima ora , i Cantori Professionisti Italiani, CPI, una consorteria di cantanti, che sebbene alcuni ostacoli di carattere tecnico potevano anche superarsi, l'Unesco nell'esaminare una nuova candidatura bada molto a che il bene che si vuole proteggere stia a cuore alla comunità cui appartiene, che tale comunità  destini a tale bene attenzioni immateriali ed anche materiali e che la candidatura e la successiva accoglienza pongono a coloro che si erano fatti promotori di tale candidatura, grandi responsabilità.
 Tutti fatti ed elementi che in Italia, anche nel caso dell'opera lirica, rappresentano una forte criticità: la distrazione dello Stato  e la sua pratica disattenzione verso i beni culturali cui destina, ultimo paese in Europa, appena lo 0,1 del PIL; la grave crisi nella quale versa buona parte elle nostre Fondazioni liriche, il pubblico- italiano!- ancora troppo elitario del melodramma, i costi per il pubblico per riportarlo ad essere popolare come lo fu dapprincipio ecc...
 I promotori dei CPI ritengono, invece, che tale candidatura possa generare diversa attenzione da parte dello Stato. Si tratta di una illusione che, già in altri casi, recentissimi ( Pompei), hanno fatto correre all'Italia il rischio di vedere cancellato dalla lista Unesco il sito forse più importante dell'antichità.
 L'Unesco ragionerebbe così: se l'Opera italiana non vi sta a cuore, come volete che la proteggiamo, noi?
 Al momento sembra che al Ministero di Franceschini, 'mezzo disastro' e Nastasi, 'grande&grosso' stiano istruendo la pratica per la candidatura ufficiale. C'è da fidarsi, di quei due rottamatori della cultura e della musica in Italia?

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