venerdì 31 gennaio 2014

Quando un manager competente mena il can per l'aia

Fuortes, nel ruolo di sovrintendente, dopo la sua prima uscita nella quale ha reso nota l'effettiva consistenza del buco all'Opera di Roma, intervistato da Anna Bandettini su 'La repubblica' di oggi, dà la sua ricetta per salvare l'opera che in Italia gode della peggior fama possibile, mentre all'estero  è sinonimo di creatività  e vanto per il nostro paese.
  Si sa qual è il problema italiano dei teatri lirici: poca produttività, ingerenza eccessiva della politica nella gestione e nelle nomine dei dirigenti, privilegi accumulati negli anni,  piante organiche gonfiate ad ogni cambio di gestione - una stratigrafia clientelare non sarebbe poi tanto difficile da  tracciare - consulenze inutili,  spese folli per allestimenti che durano meno di una stagione e per titoli desueti, programmazione assolutamente scriteriata. Senza che mai si chieda conto agli amministratori di  buchi di bilancio che ad ogni cambio di gestione si scoprono immancabilmente.
Nell'intervista si citano i pochissimi casi virtuosi italiani: Fenice, Scala,Regio, Santa Cecilia - quattro su quattordici - tutti gli altri hanno bilanci non proprio in ordine ed alcuni buchi stratosferici, quasi impossibili da colmare. Salvo che non intervenga ancora una volta Pantalone, che d'ora in avanti speriamo sia  fatto fuori per voltare definitivamente pagina, come invocherebbe la Legge Bray.
 Certo, nonostante tale legge, non fa ben sperare , ad esempio, il fatto che a Cagliari abbiano richiamato Mauro Meli che, quando se ne è andato via agli inizi del anni Duemila, s'è scoperta una voragine di debiti. Ora quello stesso teatro lo richiama a ricoprire lo stesso ruolo  del passato? Cose da non credere.
 Può fallire un teatro come l'Opera di Roma?  Su questo dubbio,  poco amletico, che ha una sola risposta: no, si è retta la politica di sempre dell'Opera di Roma. Nessuno dei suoi amministratori  vi è stato nominato perchè competente,  nessuno o quasi; tutti hanno rappresentato la longa manus dell'amministratore di turno, il quale ha coperto durante il suo governo ogni nefandezza che, puntualmente, è venuta alla luce, al termine dei ogni gestione. Compresa quella presente, per la quale agli amministratori da poco licenziati - anzi nessun licenziamento perchè De Martino, per effetto di un vergognoso paracadute sta ancora lì come direttore del personale, e  il direttore artistico, protetto da Muti, è inamovibile - non è stato chiesto conto del deficit che , per la sola stagione 2013, ammonta a 10 milioni circa. Che cosa ci ha fatto con quei soldi. Risponderà : non mi fate parlare perchè 'metto tutti in mutande' (naturalmente: tutti i consulenti e gli altri che hanno beneficiato della pappatoia) è la solita risposta mafiosa di chi comanda non per provata capacità ma perchè lo manda qualcuno. De Martino non ha detto neanche questo, perchè siamo ad un grado ancora inferiore di responsabilità.
Allora qual è la ricetta di Fuortes per sanare  l'Opera in Italia, ma noi saremmo felici che salvasse almeno l'Opera di Roma che è stato chiamato a governare, neanche più il Petruzzelli che sembra trovarsi in cattive condizioni economiche - ma non l'aveva salvato, Fuortes?
La ricetta di Fuortes è incisiva:  fuori la politica dal teatro; aumento della produttività; prepensionamento per una sessantina di  dipendenti; ridiscussione del contratto integrativo; ridefinizione del ruolo di Caracalla.
Si dirà: belle parole, frutto di buone intenzioni. Ma dopo il dire, concretamente cosa vuol fare?
Cominciamo dalla fine. Caracalla. Muti ha appoggiato il progetto del Festival Caracalla, caldeggiato dall'intellettuale Alessio Vlad, che ogni anno ha prodotto uno spettacolino in un ambiente riservato, intimo delle terme, per complessive 1000 persone o poco più in cinque o sei serate, e l'anno scorso  ha messo in cartellone un'opera di Purcell con la regia di Chiara Muti, e non vede di buon occhio una grande platea popolare. Fuortes dovrebbe dire cose concrete, non soltanto la diversa  collocazione degli spettacoli d'opera nelle grandiose terme. O forse anche lui soffre di complessi di inferiorità e vuole dimostrare di essere uno competente offrendo al pubblico internazionale  spettacoli che uno non va a Caracalla per vederli. Forse va all?Auditorium, il cui modello non è esportabile, compreso  quella sua inclinazione alla regia d'autore che forse in provincia, Bari, può aver funzionato.
Quando parla di aumento della produttività non deve farci andare con la mente a quel che ha fatto a Bari, dove ha sì aumentato la produttività del teatro,  ma portando le rappresentazioni operistiche da 39 a 41 - in UN ANNO !!!
 Potrà prepensionare un pò di gente, certo, potrà anche annullare le consulenze e far lavorare di più l'orchestra, ma poi dovrà decidere come articolare la stagione. La Fenice, ad esempio, ha trovato un sistema  particolare che guarda  al centro Europa (quasi teatro di repertorio) dove la produttività delle grande case del melodramma non è  certo paragonabile a quella italiana. Alcuni titoli del grande repertorio ritornano con regolarità nelle stagioni successive al debutto, il che permette di ammortizzare le spese degli allestimenti ed anche di diminuire i cachet degli artisti scritturati per più stagioni di seguito. Queste cose concrete avremmo voluto sentire da Fuortes , che questo problemi deve  conoscerli se non altro per l'esperienza barese, e non per la sua  lunga gestione dell'Auditorium di Roma-. che è tutt'altra cosa da un teatro  d'opera. Ed invece. generiche affermazioni, che , però, promette, per lunedì, dati e prospettive di risanamento più concrete.
 Infine gli storici spettacoli del teatro, firmati da grandissimi artisti ed i 60.000 costumi del teatro... si vede che di queste cose Fuortes s'intende poco. Certi allestimenti e costumi possono esser esposti in mostre , riprenderli per il palcoscenico è impresa più costosa che farne nuovi ed inutile.
 Voglio solo ricordare a Fuortes - giacchè parla dell'enorme lascito del suo archivio storico scenografico e costumistico - che la più bella mostra con i bozzetti di  Enrico Prampolini  dell'Archivio storico dell'Opera, gentilmente prestati dal sovrintendente Ernani, l'ho fatta io a Palazzo Vitelli di Città di Castello, nel 2004, da direttore artistico del Festival delle Nazioni. La scelta dei bozzetti e la presentazione della mostra la affidai al prof. Maurizio Calvesi. Non ho mai visto, negli anni a seguire, una mostra altrettanto prestigiosa  negli spazi del Costanzi o del Nazionale.
Allora di cosa parliamo? Sempre e solo di Muti che nel corso dell'intervista - fatto assai curioso - non viene citato neanche una volta? Una rondine, anche se di razza, non fa primavera da nessuna parte.

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