giovedì 21 novembre 2013

Mi manda Muti

Ricordo bene di aver letto sul Corriere molti anni fa una intervista a Placido Domingo che si lamentava della sua assenza dalla Scala. Erano i tempi di Fontana, Muti,  Roman Vlad, Arcà. o forse Vlad era già venuto via, lasciando nelle mani del suo scudiero Arcà, con l'assenso di Fontana e Muti, le redini  artistiche del teatro. Arcà era arrivato con Vlad, anzi Vlad lo aveva portato con sè con la seguente giustificazione: non potendo egli badare alla Scala, a causa dei suoi già numerosi impegni, richiese un aiutante di campo. Perchè proprio Arcà? La ragione era pratica. Vlad lo aveva preso a lavorare alle sue dipendenze, nella redazione del mensile 'Musica & Dossier' dell'editore fiorentino Giunti. Ma che faceva Arcà alla Scala? Secondo un nostro collega ben infornato egli era relegato ad occuparsi delle 'tournée del teatro all'estero'. Dunque in un ruolo assai marginale. Per questo, quando Domingo in quella intervista lamentava il fatto che a telefonargli per una proposta alla Scala era stato un certo Arcà' - come testualmente disse Domingo - egli ribattè che alla Scala conosceva solo Muti, e perciò  parlava solo con lui. Mi pare che non citasse Fontana che certamente conosceva essendo egli sovrintendente da tempo.
 Cosa vogliamo dire con ciò? Vogliamo dire che le carriere molte volte, forse il più delle volte, si costruiscono con  l'appartenenza a consorterie (le logge massoniche vi dicono qualcosa? ma badate bene non sono le uniche!) e società di vario genere ma tutte di mutuo soccorso, e soprattutto con l'ubbidienza  e la fedeltà al potente del momento.
Per tornare ad Arcà, dopo la Scala è chiaro che chiunque, non sapendo la cronistoria  dei fatti,  quando legge nel suo curriculum del passaggio milanese, lo scritturerebbe per sé su due piedi, come appunto è accaduto al compositore romano - mestiere esercitato da Arcà quasi esclusivamente all'inizio di carriera!- che poi è andato in giro a Genova a Parma - già una volta come direttore artistico della Toscanini! - a Firenze ed a Milano, agli Arcimboldi ed alla Società del Quartetto dove tuttora opera, nonostante che faccia il direttore artistico di Fontana al Regio di Parma e che sia anche insegnante al Conservatorio di Milano - cose fra loro incompatibili come abbiamo richiamato nel nostro precedente post: 'Nel Far West della musica italiana!' Tra parentesi, non appena Arcà chiese il trasferimento dal Conservatorio dell'Aquila a Milano, l'ottenne seduta stante. Come poi riusciva, prima, a stare fisicamente e contemporaneamente alla Scala e L'Aquila lo racconteremo un 'altra volta - anzi, lo abbiamo fatto altre volte sia su Suono, che su Music@, più succintamente. Vi fu un imbroglio, alla base del quale c'era il solito ritornello: da noi insegna il direttore artistico della Scala.
 L'errore madornale che spesso si compie da parte di chi ha il potere  è, alla luce di questi elementi, quello di pensare che in una istituzione sia meglio mantenere stretto lo scettro del comando ed avere tutti gli altri prostrati ai propri piedi, piuttosto che circondarsi di pari grado, a causa delle  numerose incombenze che la direzione di un grande teatro comporta.
 E' l'errore che Muti continua a fare anche a Roma: lui solo è la stella, tutti gli altri sono al suo servizio. Ma il guaio è che,  come accadde con Domingo alla Scala, quando ad un artista telefona qualcuno dell'Opera di Roma,  dall'altra parte del telefono si può udire una voce che risponde: io conosco solo Muti. e parlo solo con lui
Ora Muti, nella critica situazione del suo teatro- come  va ogni giorno descrivendo Valerio Cappelli, cantore, un tempo! sul Corriere - non dice nulla dei suoi collaboratori, dei quali evidentemente può dire la stessa cosa che Berlusconi ed i suoi schierani vanno dicendo dei parlamentari ex PDL: questo(a) o quello(a) li ho creati io, senza di me non erano nessuno. E' l'errore grossolano nel quale Muti - ce ne dispiace davvero!- casca ogni volta. Mentre sarebbe molto più saggio che al suo fianco pretendesse collaboratori della sua stessa autorevolezza ed indipendenza di pensiero.

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