giovedì 14 novembre 2013

Valerio Cappelli, sul Corriere della Sera, punta il dito contro l'Opera di Roma che finora ha sempre esaltato

Non potevamo credere ai nostri occhi,  mentre leggevamo dei buchi neri dell'Opera di Roma, elencati con cura meticolosa e con paragoni impietosi tra il management della Scala e  quello dell'Opera della capitale, che questo ruolo di rappresentanza ha creduto di poter spendere ogni volta che c'era da batter cassa (PUBBLICA!).  Il registro dei passivi,  non solo economici, e dei paragoni impietosi lo teneva un giornalista del Corriere della Sera, Valerio Cappelli, che in questi anni ha cantato le meravigliose imprese  del Teatro dell'Opera e dei suoi reggitori, inneggiando a Muti -  a ragione! - ma anche a De Martino; al suo amico Alessio Vlad - il miglior direttore artistico su piazza, ha scritto tante volte!- ed al manager dell'ufficio stampa, che certamente qualche problema ha avuto con i giornalisti che riteneva non allineati con la politica del teatro - noi fra questi - che, per colpa sua, di Filippo Arriva, non mettono più piede in teatro. Ora speriamo davvero che vada a casa come il suo predecessore, altro campione di competenza, messo da Veltroni, per premiarlo del lavoro svolto nella sua segreteria quando era ministro. Imbucati di destra e sinistra e soprattutto, quel che è più grave, incapaci ed asserviti al padrone di turno che, come si vede, brilla  nella gestione di affari privati.
 Ad essere sinceri Cappelli già da qualche tempo, mettendo in bocca al sindaco le accuse,  ha parlato dei problemi dell'Opera. Oggi, però, li assume su di sé ed impietosamente si erge a giudice severo dell'Opera che in questi ultimi anni ha cantato come il migliore dei teatri possibili. Un triplo salto mortale, in attesa di sapere su quale rete planare, al prossimo giro di nomine.
 A cominciare dal commissario che presto arriverà, in meno di un mese, per il quale si fa già il nome di Carlo Fuortes divenuto ormai il salvatore di ogni situazione problematica, senza contare che Roma non è Bari e l'Opera non ha  niente a che spartire con il Petruzzelli.  Ma forse Fuortes quando ha accettato la nomina a Bari, ,senza lasciare l'Auditorium, già pensava che quello poteva essere il trampolino di lancio per una sovrintendenza  importante come quella romana. E Musica per Roma? chi se ne.frega; anche perchè dopo dieci anni forse si ha voglia di cambiare. Attento Fuortes, l'Opera di Roma non è una passeggiata, c'è un esercito di dipendenti. Direte, con me, che se c'è stato De Martino Catello, Fuortes Carlo  farà senz'altro mille volte meglio.
 La storia si ripete ad ogni giro di poltrone capitolino. La novità è che ora, a detta di Cappelli, sbucano dai consuntivi di bilancio in pareggio per tre anni consecutivi, un passivo di 28 milioni di Euro, nonostante che l'Opera sia  il teatro più finanziato dai Comuni: 20 milioni di Euro per anno - alla Scala ne giungono appena 7 di milioni di Euro - fino a che c'era Alemanno. Per non parlare di spettatori paganti, di abbonati, di recite, di soldi di sponsor privati ecc.. Ora è evidente che  il flusso finanziario del Comune potrà continuare,  ma ridotto,  e solo se il teatro passerà  in mano a uomini di fiducia di Marino, e Fuortes può esser l'uomo giusto.  Sempre meglio di Siciliano, figlio di Enzo che di amministrazione di teatri ne sa meno che zero; i sacri lombi dai quali discende non gli hanno trasmesso questa competenza.
La storia la conoscevamo già, tant'è che ne abbiamo scritto settimane addietro. Era chiaro da subito come sarebbe andata: l'uscita di Catello è la vendetta per l'uscita di Ernani all'arrivo di Alemanno. Vi rendete conto che questi politici - ANALFABETI e qualche volta anche MASCALZONI - giocano a farsi i dispetti a suon di milioni  di Euro pubblici?
Ci preme sottolineare, oltre l'ennesimo triplo  salto mortale di Cappelli , la necessità di non farsi scappare Muti, perchè allora, si continuerebbe a spendere soldi, ma senza Muti, che vuol dire inutilmente, e senza speranza di riscatto per un teatro che in tutti questi anni ha visto  succedersi persone inadatte ai ruoli che rivestivano, messi lì - e non è una novità - perchè adepti di questa o quella congrega di  gente dozzinale, qual è la politica dei giorni nostri.

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