lunedì 6 maggio 2024

UNIRAI. Gli iscritti al nuovo sindacato giornalisti Rai manda in onda Tg1 e 2, boicottando lo sciopero indetto da USIGRAI (da La Repubblica)

 




Il Tg1 dell’edizione delle 13.30 in onda regolarmente, in barba allo sciopero indetto dal sindacato Usigrai. Il boicottaggio del sindacato di destra Unirai deciso venerdì ha avuto i primi effetti. In onda anche il telegiornale di Rai2 delle 13 e anche Rainews che sta proponendo principalmente servizi di Rai Sport.

Intanto, nella sede della Stampa Estera di Roma durante la conferenza stampa il segretario Usigrai, Daniele Macheda, ripete: "Fuori i partiti dalla Rai. Bisogna fare una legge, forse ci aiuterà il Media Freedom Act, regolamento europeo che dice chiaramente che i servizi pubblici non devono subire il controllo dei governi", prosegue Macheda, precisando che "oggi c'è un sistema pervasivo, serve la vicinanza di tutti", dice Macheda, concludendo: "Questo sciopero va oltre la Rai, è un problema di libertà di stampa e dell'assetto informativo in Italia. Sono accadute cose di recente che non fanno ben  sperare su come andranno le cose in Italia. La presidente del Consiglio (Meloni, ndr) ha il tempo di definire il servizio di Report su come si spendono i soldi pubblici per i centri migranti in Albania, definendo il servizio un linciaggio al premier albanese e al popolo albanese. Non ho sentito una parola dell'azienda in difesa del programma di Ranucci". E ancora. "I dati dello sciopero al momento non li conosciamo, la giornata è lunga, vedremo domani quale sarà stato l'effetto. Il diritto di scioperare e non scioperare va tutelato per tutte e tutti, ma certamente è la prima volta che si vede una organizzazione che si definisce sindacale tentare di boicottare un'iniziativa sindacale", ha concluso.

domenica 5 maggio 2024

Rai. Domani, giornalisti in sciopero ( da Il Giornale, di Orlando Sacchelli). Meno male che UNIRAI c'è, a presidio di Tele Meloni. Da poco, ma giusto in tempo per contrastare la maggioranza dei giornalisti Rai iscritti all'Usigrai

 Ormai è una battaglia campale, con la sinistra che per dare contro al governo tira in ballo la Rai in ogni occasione, parlando di occupazione di tutte le reti (e dei tg) e di "Tele Meloni". Nei decenni passati la gestione della tv di Stato non è mai stata paragonabile alla blasonata Bbc, per dire, ma questo è un dettaglio che non viene preso minimamente in considerazione da chi oggi protesta, l'importante è dare contro all'attuale dirigenza Rai, espressione della maggioranza di centrodestra. Dopo infinite polemiche l'Usigrai arriva allo sciopero, in programma domani, lunedì 6 maggio. E sciopero sia. Ma con una particolarità: per la prima volta non esiste solo un sindacato e così lo sciopero non sarà un dogma, ma una libertà (di farlo o meno), come dovrebbe avvenire in un Paese normale.

Perché protesta l'Usigrai? Contro il "controllo asfissiante sul lavoro giornalistico", il "tentativo di ridurre la Rai a megafono del governo", "l'assenza del piano industriale" le "carenze di organico in tutte le redazioni" e il "no dell’azienda ad una selezione pubblica per giornalisti". Ovviamente vi saranno disagi per i telespettatori: mentre la programmazione del Tg1 potrebbe non subire modifiche, il Tg2 potrebbe andare in onda con una sola edizione principale. Tg3 e Rai News 24 dovrebbero aderire pienamente allo sciopero.

Di fronte alle gravissime accuse lanciate dall'Usigrai, non è mancata la risposta di Viale Mazzini. Con un video comunicato l'azienda ha risposto punto per punto alle parole dal sindacato, definendole "ideologiche e politiche". In particolare la Rai ha chiarito che "alcuna censura o bavaglio è stato messo sull’informazione e si invita l’Usigrai a cessare di promuovere fake news che generano danno d’immagine all’azienda". L’azienda inoltre precisa di aver "proceduto all’adeguamento del sistema premiante dei giornalisti a quello di tutti gli altri dipendenti". Quanto alla carenza di personale, viale Mazzini sostiene che nell’attuale quadro economico "non è possibile aprire nuovi concorsi pubblici per nuove assunzioni giornalistiche a fronte di un organico di oltre 2000 unità, mentre si rendono invece necessari processi di ottimizzazione che consentano di valorizzare l’organico esistente".

Da un po' di tempo la rappresentanza sindacale in seno alla Rai non è più un monolite dove l'unica voce è l'Usigrai. Il sindacato Unirai, Liberi Giornalisti Rai, in una nota spiega che "contrariamente a quanto riportato da alcuni organi di stampa e da alcuni politici da tempo in prima fila per combattere, per assenza di argomenti, un nemico immaginario come il fascismo, Unirai è voce libera e indipendente di giornalisti che non si fanno piegare dalle pressioni o dagli insulti di chi è stato abituato ad occupare la Rai. Domani le centinaia di colleghi che saranno sul posto di lavoro (dopo che un’assemblea si è pronunciata all’unanimità su questo punto), perché contrari a una mobilitazione ideologica, possono e devono produrre quello che fanno ogni giorno e il frutto del loro lavoro deve andare in onda. Chi si sente padrone della Rai deve semplicemente prendere atto che questa è la stagione del pluralismo. Domani andremo a lavorare insieme ad altri 16 mila dipendenti di questa grande azienda che va rilanciata e non infangata ogni giorno dopo averla lottizzata, in maniera abusiva, per decenni - prosegue la nota -. È caduto il muro di Berlino, figuriamoci se non può cadere il monopolio dentro la Rai".

Musica. Doppio incarico di moda. Non costa moltissimo e dà prestigio

E' di due mesi fa la nomina di Paolo Arcà a direttore artistico del Teatro dell'Opera di Roma, voluto dal sovrintendente Francesco Giambrone,  che aveva da tempo mandato a casa Alessio Vlad, il quele è poi finito a Parma e  potrebbe ora rischiare di andare a Firenze  come 'aiutante' di Carlo Fuortes, che a differenza di Giambrone,  non ha mire - né potrebbe averne - da direttore artistico. 

 Se non ricordiamo male, la coppia Giambrone-Arcà appena formata è in realtà una coppia antica, domiciliata al Maggio Fiorentino, scoppiata quando emersero buchi nei conti e Giambrone dovette essere dimesso per far posto al commissariamento. Arcà rimase fino a quando, prima dell'ennesima crisi sotto la sovrintendenza della Colombo, lasciò Firenze dicendo che 'voleva lavorare a nuovi progetti'. 

I quali si concretizzarono nella nuova coppia Fontana-Arcà domiciliata a Parma. In realtà anche questa coppia non era di primo pelo, perchè nata e navigata già alla Scala  negli anni di Muti e Vlad padre, il quale portò alla Scala Arcà come suo portaborse  e poi, come spesso accade, all'uscita di Vlad, venne elevato a a sostituto.

 Ma non è di queste coppie che vogliamo scrivere ora. Non ci interessa entrare nelle loro storie sentimentali.

 Leggiamo in una nota del GdM, a firma Mauro Mariani, che Arcà  direttore artistico a Roma, continuerà ad occupars, contemporaneamente, della Società del Quartetto di Milano, presieduta dal Ilaria Borletti Buitoni.

 Questa è l'anomalia. Il direttore artistico di  una Fondazione lirica, anche importante come quella romana, ha il tempo di occuparsi anche di un'altra istituzione, in questo caso storica e prestigiosissima in passato? 

 Perchè l'interessato lo fa? Semplicemente, secondo noi, per non  perdere posizioni di potere acquisito.

 E perchè l'Istituzione minore lo vuole ancora? Perchè può fregiarsi, per la direzione artistica,  di un nome 'importante' (?) della organizzazione musicale italiana. Non sapendo che essendo egli occupato nella Istituzione primaria, farà il suo lavoro  nei ritagli di tempo, usufruendo certo delle conoscenze acquisite, ma sempre e comunque 'con la mano sinistra', come si dice. Arcà non è la prima volta che tiene il 'piede in due scarpe' come ancora dice la sapienza popolare. E Arcà non è l'unico. ricordiamo fra quelli più eclatanti, il caso di Cesare Mazzonis ( Scala e poi Maggio Fiorentino e, contemporaneamente, Festival Mozart di Rovereto), o Mario Messinis (Teatro La Fenice e Festival Bologna' I grandi interpreti'). 

E vivono tutti felici e contenti.

Borletti Buitoni, presidente della Società del Quartetto di MIlano, che festeggia 160 anni di attività: denuncia che la musica classica è sempre penalizzata dalla politica. E la musica da camera non è passione di pochi ( da Corriere della Sera, di Pierluigi Pana)

 La presidente del Quartetto di Milano: dai Comuni il taglio dei fondi. «Questa idea che si tratti di passione di pochi si riflette nelle politiche pubbliche».

«La musica classica è sempre penalizzata. Basta sprecare i soldi il governo ci ascolti»

La Filarmonica della Scala diretta da Zubin Mehta con il virtuoso del violino Maxim Vengerov protagonisti alla Scala per celebrare i 160 anni della Società del Quartetto di Milano e della Croce Rossa Italiana. La Società del Quartetto è stata fondata nel 1864 da Arrigo Boito e Tito Ricordi con l’obiettivo di diffondere la conoscenza della musica cameristica e ha promosso la prima esecuzione italiana della Nona Sinfonia di Beethoven (1878) e la prima esecuzione a Milano della Passione secondo Matteo di Bach (1911). Oggi il Quartetto è una delle istituzioni musicali più prestigiose, ma il suo presidente, Ilaria Borletti Buitoni, già sottosegretario ai Beni culturali, è in allarme. «Tutti aspettiamo con ansia il Codice unico dello spettacolo al quale il governo sta lavorando e tutti siamo disposti a dare un contributo, ma...».

Ma?
«La musica classica, in particolare quella da Camera, continua a essere considerata di élite invece di capire che i grandi sinfonisti, come Bach e Mozart, sono colonne portanti della cultura europea come Shakespeare e Tolstoj. Questa idea che si tratti di passione di pochi si riflette nelle politiche pubbliche».

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In che modo?
«Anzitutto, non si può ritenere che rock e pop abbiano bisogno di sostegno come la classica, perché coinvolgono macchine redditizie. Inoltre, l’insistenza con la quale si spinge la classica a essere un progetto sociale, quindi a essere rappresentata anche in luoghi disagiati, la depotenzia della possibilità di essere progetto di vera educazione musicale. Le politiche degli attuali bandi rinchiudono la classica in una nicchia e finiscono con il moltiplicare iniziative definite sociali».

Il governo ha ottenuto il riconoscimento Unesco per l’opera lirica italiana e il Fondo Unico dello spettacolo la sostiene con ampi fondi.
«Non c’è solo l’opera lirica, ci sono anche le associazioni concertistiche. Non sappiamo come saranno distribuiti i finanziamenti dopo l’approvazione del Codice, ma oggi c’è un algoritmo che penalizza la qualità in favore della quantità. Se in alcune parti d’Italia devi aumentare l’offerta, a Milano ci facciamo la guerra. Il concetto di qualità è imprescindibile. I precedenti governi hanno allargato la platea dei proponenti e quindi c’è un problema di distribuzione delle risorse. Considerare la musica da camera come di élite penalizza anche i giovani dei conservatori».

Che cosa suggerisce il Quartetto?
«Stiamo preparando un Manifesto insieme al Quartetto di Cremona e con i giovani artisti più brillanti: desideriamo che emerga la loro voce. Un Manifesto in cinque punti dove si dica quali sono i problemi della musica classica».

A quanto dovrebbe ammontare il contributo pubblico?
«Abbiamo dalla Commissione musica uno dei più alti riconoscimenti di qualità e riceviamo uno dei contributi più bassi, che copre il 10% del bilancio, perché è stabilito da un sistema di algoritmi sbagliati. Il contributo pubblico deve essere intorno al 40% per la musica strumentale, altrimenti non può farcela. Inoltre, le istituzioni che ricevono fondi pubblici devono avere bilanci pubblici».

I Comuni stanno tagliando i fondi alla musica classica...
«Francescantonio Pollice, presidente dell’Associazione italiana attività musicali, ha segnalato un taglio in tre anni del 65% dei fondi alle Scuole civiche di Milano e per noi del Quartetto il Comune è sceso da 65 a 35 mila euro. Qualcosa di analogo accade per Firenze, Napoli e altri».

Come intervenire?
«Basta con i contributi che non portano a nulla. I bandi per la musica in periferia sono un po’ demagogici e finiscono per minare le stagioni delle associazioni di musica classica. Inoltre, i Comuni promuovono una marea di concerti gratuiti e anche questo mette in difficoltà le società storiche musicali: ci vuole accordo sui calendari. Giusto far crescere nuovo pubblico, ma in maniera organizzata. La musica ha forza per far rendere più coesa una comunità, ma con compositori che rappresentano le colonne della storia europea».

Altri ostacoli?
«Il politically correct: se prende ancora più piede siamo finiti. In alcuni Paesi dove è forte questa ideologia non si eseguono più Don Giovanni, Puccini e ora rischia Bach. L’ignoranza e questo vento woke rischia di uccidere una delle grandi vocazioni culturali del mondo».

Australia. Si insegna l'italiano ai cantanti lirici.Accordo fra Consolato italiano e West Australian Opera (ANSA)

Nell'anno in cui si commemora il centenario della scomparsa di Giacomo Puccini, ha preso il via il programma per l'insegnamento dell'italiano ai cantanti lirici in Australia Occidentale.

Frutto di un'intesa tra il Consolato d'Italia a Perth e West Australian Opera, il più antico e prestigioso ente lirico dello Stato, il progetto - si legge in una nota - rappresenta un importante volano per l'insegnamento e la promozione della lingua italiana in Western Australia, in cui risiedono oltre centomila italo-discendenti su una popolazione di circa tre milioni di abitanti.
    L'annuncio dell'intesa ha avuto luogo nella cornice della "Sala Puccini" dello His Majesty Theatre di Perth.

"Questa collaborazione non solo rende omaggio alla perdurante influenza di Puccini nel panorama della musica lirica mondiale, ma sottolinea anche il nostro forte impegno a promuovere e accrescere l'interesse e la passione per l'italiano, lingua musicale per eccellenza", ha commentato il Console Sergio Federico Nicolaci. Da parte sua, la Direttrice esecutiva di West Australian Opera, Carolyn Chard, ha sottolineato: "L'intesa rappresenta un prezioso contributo allo sviluppo dei nostri giovani artisti di Wesfarmers Arts e per i nostri cantanti in preparazione per i ruoli in cartellone".
    Il perfezionamento della dizione e della comprensione dell'italiano degli artisti coinvolti nella preparazione delle opere in cartellone al Teatro di Sua Maestà saranno le principali aree di insegnamento, in corsi svolti da docenti di madre lingua italiana.

Premio Paganini. Accardo si dimette, arriva Ughi a presiedere la giuria

 

Uto Ughi sarà il presidente di giuria del prossimo Premio Paganini

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Uto Ughi sarà il presidente della giuria internazionale del 58° Premio Paganini che si terrà nell'autunno del 2025. Prende il posto di Salvatore Accardo, a pochi giorni dalle sue dimissioni in seguito alla scelta del giovane Nicola Bruzzo come direttore artistico da parte del presidente Giovanni Panebianco. A breve sarà  convocata un'apposita seduta del Comitato.

«L'invito a presiedere la giuria internazionale della 58^ edizione del Premio Paganini mi onora e riempie di gioia: l'ho subito accolto con entusiasmo – ha dichiarato Uto Ughi - Ringrazio il presidente Panebianco e, con lui, il sindaco di Genova. Non appena conclusi i passaggi procedurali nell'ambito del Comitato mi metterò al lavoro con il nuovo direttore artistico, Nicola Bruzzo, e con tutta la squadra del Paganini. Sono particolarmente lieto di lavorare nell'ambito di un concorso rivolto ai giovani e di poter trasmettere loro esperienze e competenze di tutta una vita. Questo è un grande impegno, prima di tutto culturale, nel quale credo fortemente: i giovani sono il futuro, anche nel mondo del violino».

sabato 4 maggio 2024

Pittaro, friulano, imprenditore vinicolo, lasia la sua azienda ai 9 dipendenti ( da Il Gazzettino)

 


Piero Pittaro, l'imprenditore del vino muore e lascia l'azienda ai dipendenti: «Pensavamo scherzasse»

È morto e ha lasciato l'azienda ai suoi dipendenti. Lo aveva promesso, Piero Pittaro, imprenditore friulano scomparso a 89 anni il 24 marzo scorso, e così ha fatto. Ha deciso di lasciare la maggioranza della sua azienda vinicola, fondata all'inizio degli anni 70, ai suoi 9 fidati collaboratori. La storia è raccontata oggi dal Messaggero Veneto e da Il Piccolo.

Muore e lascia l'azienda ai dipendenti: la storia di Piero Pittaro

A prendersi cura dell'azienda saranno ora lo storico enologo e braccio destro di una vita, il perito agrario, la contabile, l'addetto commerciale, gli uomini di cantina e di vigneto. Una donazione vera e propria che, all'apertura del testamento, ha sorpreso gli interessati, tutte persone della zona di Codroipo (Udine), che lavorano alla Vigneti Pittaro da oltre 10 anni. A breve costituiranno una nuova società.

La parola d'ordine è continuità e valorizzazione del marchio, che resta friulano, con 85 ettari di vigneti tra proprietà e affitto nelle Grave del Friuli, 300mila bottiglie vendute ogni anno, 100mila delle quali di spumante e altre 200mila di vini fermi bianchi e rossi, con una quota di export pari al 35, 40% e destinazioni privilegiate gli Stati Uniti, Singapore e Ue.


«Quando facevamo qualche controllo nei vigneti o le prove in cantina ci diceva, ogni tanto in lingua friulana, 'Us lassi dut a vualtris' ('Lascio tutto a voi'), ma francamente pensavamo che Piero scherzasse - racconta ai quotidiani Stefano Trinco, l'enologo del gruppo che è anche presidente della Doc Friuli - da parte nostra c'è grande emozione, oltre a un doveroso ringraziamento. E sicuramente l'impegno e la consapevolezza di portare avanti in prima persona l'azienda».

A cominciare dal lancio di quella che era stata una delle ultime idee del patriarca Piero: la creazione di uno spumante Blanc de Noir, naturalmente realizzato con il metodo classico, che è l'impronta aziendale, da uve esclusivamente Pinot nero.